Nella riuscita di un corso sub è fondamentale che l'istruttore sappia entrare in piena empatia con gli allievi, mostrando disponibilità e passione, e doti di chiarezza espositiva, creando un tipo di relazione che gli psicologi definiscono complementare, dove gli stessi riconoscono e rispettano la competenza, l'esperienza e l'autorevolezza del docente, e fanno tesoro dei suoi insegnamenti.
Alberto è un istruttore subacqueo. La sua non più giovane età, lascia intuire che ha sperimentato tanti modi di fare subacquea per arrivare fino ad oggi. Cammina sulla terra ferma con la stessa naturalezza con cui pinneggia in immersione, esprimendo un portamento semplice e al contempo elegante e nonostante la sua notorietà ed esperienza lo precedano, passa tra la folla con fare semplice e disinvolto, proprio come riesce a rimanere in assetto durante l’immersione nonostante un’attrezzatura ingombrante. Gli argomenti delle sue lezioni sono a tutt’oggi una sintesi di tecnica di immersione sempre aggiornata e di esperienze d’immersione, presentate attraverso aneddoti e storie vissute sotto il pelo dell’acqua. E tutto questo oltre ad insegnare un modo di andare sott’acqua sapientemente interpretato secondo la sua persona, riesce a comunicare un senso di sicurezza negli allievi, che gli stessi non avrebbero mai immaginato di esprimere in immersione.
Ripensando ai tempi in cui eravamo allievi subacquei ciò che ricordiamo dei nostri istruttori è la loro capacità relazionale nel trasmetterci dei contenuti tecnici arricchiti della loro personalità e della loro esperienza. E probabilmente negli anni, avendo noi a sua volta maturato molta esperienza, riconosciamo in quel nostro istruttore un maestro della subacquea, quindi qualcosa di più, oltre che, appunto, un semplice istruttore.
Ma, cosa rende un istruttore subacqueo, un maestro agli occhi dell’allievo? In cosa si concentra la sua bravura: sulle tecniche che insegna o su come le insegna? Se ci addentriamo nei meandri della comunicazione nella didattica scopriamo un’area spesso inesplorata ma che rappresenta una componente molto cospicua di ciò che insegna un istruttore magari senza neppure accorgersene: essa è rappresentata dalla componente relazionale, che scopriremo meglio attraverso i 5 Assiomi della comunicazione umana, coniati dallo psicologo americano Paul Waltzlavich e dalla scuola di Palo Alto del Mental Research Institute (Pragmatica della Comunicazione Umana: Paul Watzlawick, Janet Beavin, Don Jackson – Casa Editrice Astrolabio 1967). L’autore comprese che i comportamenti umani sono una risposta sia al linguaggio sia ai contesti in cui avviene l’interazione. E se il linguaggio genera un comportamento che a sua volta stimola un qualche tipo di risposta, allora non esiste un comportamento, o un gesto, che non stia comunicando un qualcosa a qualcun altro! Questa dinamica circolare tra linguaggio e comportamenti, da vita alla comunicazione dove è necessario prestare molta attenzione alle forme verbali e non verbali del messaggio. Pertanto, se immaginiamo l’apprendimento dell’allievo come una forma di risposta al linguaggio dell’istruttore e al contesto (di apprendimento) in cui si verifica, forse riusciamo a leggere in modo più nitido ciò che avviene tra l’istruttore e l’allievo subacqueo.
l celebre testo Pragmatica della Comunicazione Umana rappresenta uno scrigno nel quale l’autore ha racchiuso i 5 assiomi della comunicazione umana da lui individuati in tutte le forme di comunicazione. Tali assiomi rappresentano un vero vademecum per leggere le interazioni umane e per riflettere su una possibile comunicazione didattica efficace.
Questo assioma spiega che l’essere umano non può non comunicare! Forse può decidere di non comunicare a parole (dal momento che il linguaggio verbale è governato dalla nostra consapevolezza), ma di certo il corpo, i gesti comunicano. E anche quando si resta in silenzio, anche in quel caso si sta comunicando che non si vuole comunicare! Ecco perché ritenere di non comunicare sarebbe come credere di potersi non comportare: cio è illogico!
Non si può non comunicare perché è impossibile chiudere il canale non verbale: il canale del corpo oppure il canale dei nostri modi! Noi possiamo silenziare le parole ma non il corpo! Non a caso si dice che il corpo non mente mai! E senza una chiara consapevolezza di ciò che si vuole comunicare, talvolta non è detto che il canale verbale ed il canale non verbale comunichino lo stesso messaggio! Un’ istruttore di solito non ci insegna in modo neutro una tecnica ma lo fa attraverso la sua personale interpretazione e mentre lo fa ci sta parlando di se stesso. Oppure in immersione quando si pone ad una quota al di sopra di noi, mentre noi pinneggiamo sotto di lui, ci sta comunicando che ci sta sorvegliando per la nostra sicurezza! Ma per capire meglio quale messaggio inviamo nelle comunicazioni, introduciamo il secondo assioma della comunicazione umana.
Questo assioma ci spiega che i messaggi scambiati in una relazione umana non possono ridursi ad una pura trasmissione di contenuti. In un messaggio trasmesso tra due persone infatti oltre al contenuto è presente anche un’ informazione di tipo relazionale che detta i ruoli della relazione. Ad esempio: un istruttore che insegna con un atteggiamento autoritario, è come se proponesse una relazione del tipo sergente-recluta imponendo all’allievo di assumere un ruolo da subalterno. Oppure, quando due istruttori discutono fino a litigare alla presenza degli allievi stanno proponendo una relazione ad essi, del tipo pubblico che deve assistere a chi è il più forte! Invece un atteggiamento autorevole (quindi non autoritario) predispone ad una relazione dove, l’istruttore trasmette all’allievo anche un senso di fiducia necessario a sperimentarsi e interpretare l’errore come un’occasione di apprendimento anziché di giudizio.
Il secondo assioma quindi svela una connessione tra il modo in cui si dice ed il tipo di relazione che si crea tra due (o più) persone: infatti spesso ciò che si dice, talvolta viene comunicato non dalle parole ma dal proprio modo di essere! Quante volte ci capita di trovarci in barca con altri sub, i quali parlano tra di loro ad alta voce mentre raccontano le loro avventure in giro per i 7 mari: in quel caso, essi provano ad imporre una relazione di tipo mamma guardami come sono bello, a tutti coloro che gli sono intorno.
Ciò che conferisce potere all’istruttore è proprio il suo stile relazionale, e nel progettare una lezione sottovalutando ciò che noi diciamo con il nostro stile, i nostri modi e ciò che essi comunicano, si rischierebbe di svilire l’importanza dei contenuti da trasmettere.
Gli aspetti relazionali del messaggio il più delle volte coincidono con gli aspetti emozionali, impulsivi, della nostra persona e non sempre ne siamo consapevoli. Viaggiano attraverso il canale non verbale, che tratteremo in seguito. Questo assioma quindi ci spiega perché, in un interazione con un’altra persona, possiamo avvertire un senso di inadeguatezza o, al contrario, un sensazione piacevole, ad esempio di sicurezza: perché ciò può dipendere da cosa l’altro ci sta trasmettendo, magari senza neppure volerlo. Oppure in questo modo possiamo avere una possibile spiegazione del perché in molti casi ciò che diciamo non coincide con il messaggio che l’altro dichiara di aver compreso da noi!
Proviamo a spiegare questo assioma attraverso un esempio: un allievo abbandona il campo (anzi il mare) e litiga con l’istruttore: le cause della lite o le motivazioni a lasciare possono essere tante. O forse la causa è un insieme di comportamenti a cascata avvenuti tra i due: un botta e risposta dove l’evolversi della relazione tra i due dipende dal significato e dal valore con cui gli interlocutori interpreteranno la reazione dell’altro. I due metteranno un punto e a capo, ad ogni loro modo di interpretare la reazione dell’altro, o metteranno tra parentesi alcune reazioni rispondendo in un loro preciso modo. Questo ci suggerisce che in una comunicazione ciò che uno pensa o sente dell’altro, e viceversa, crea una punteggiatura tra i due che rappresenta la struttura dell’interazione quasi come se fosse un copione! Talvolta in un contesto di apprendimento fortemente concentrato a trasferire contenuti tecnici, si dedica poca attenzione alle dinamiche relazionali sottostanti: l’attenzione alla punteggiatura previene il nascere di una relazione a senso unico dove l’allievo rischia di subire il modo di essere e di vedere dell’istruttore e quest’ultimo può rischiare si non riuscire a governare le dinamiche che possono nascere in un gruppo di allievi. Tuttavia in molti casi curare le relazioni vuol dire curare anche l’immagine che si vuole comunicare circa la propria figura di istruttore o dell’organizzazione della quale facciamo parte.
Quante volte gli istruttori si trovano a spiegare a parole un argomento o a descrivere una manovra anche ripetutamente, ma in realtà con i gesti comunicano ben altro, ad esempio il loro disappunto o impazienza? Cosa comunica il canale verbale? Cosa comunica il canale non verbale? Inviano lo stesso messaggio o messaggi diversi?
Questo assioma, per l’appunto, spiega che la comunicazione umana genera messaggi attraverso due canali. Uno, che chiamiamo canale verbale (detto digitale), che invia messaggi sotto forma di linguaggio verbale, che rappresenta una funzione superiore frutto dell’elaborazione consapevole di contenuti specifici come quando si spiegano le teorie di fisica attinenti la subacquea ecc. Un altro, che chiamiamo canale non-verbale (detto analogico), da cui partono messaggi sotto forma di movimenti, anche piccoli, e di gesti che in realtà comunicano un messaggio che può sfuggire al controllo vigile, e che possono non coincidere con quanto si dice a parole. Il canale non verbale è talvolta incontrollabile data la mole di messaggi che il nostro corpo può emettere, tant’è vero che nell’analisi di un comportamento si dice che il corpo non sa mentire, in quanto emette messaggi che talvolta sfuggono al controllo della psiche!
Il canale non-verbale tra l’altro media contenuti relazionali. Come accennato nel caso del secondo assioma, ciò che detta le regole di un’ interazione tra due persone spesso non sono tanto i contenuti quanto i modi, le emozioni, e gli atteggiamenti dell’interlocutore.
La comunicazione subacquea è (quasi) esclusivamente non verbale e va ben oltre i segnali convenzionali utilizzati per comunicare tra subacquei. Ad esempio un subacqueo durante la discesa può eseguire alcuni movimenti per mantenere la quota qualora il suo assetto non sia ben bilanciato. Ma ad un esame visivo più accurato quei movimenti possono comunicare un disagio o una difficoltà del subacqueo di cui lui stesso, probabilmente, ancora non si è accorto!
Dal momento che un messaggio viaggia attraverso un canale verbale ed un canale non verbale, quanto più c’è congruenza tra ciò che vogliamo dire attraverso il canale verbale e quello non verbale allora la comunicazione risulta efficace!
Una sequenza di comunicazioni può dar vita ad una relazione dove gli interlocutori riconoscono e rispettano uno il ruolo dell’altro, oppure uno impedisce all’altro di esercitare una qualche forma di comando o potere. Nel primo caso possiamo parlare di relazione complementare, nel secondo caso di relazione simmetrica. Descriviamole con qualche esempio: l’istruttore che presta molta attenzione ad adottare uno stile ironico ma rispettoso delle difficoltà degli allievi che, a loro volta ascoltano con un’ atteggiamento che non comunichi indirettamente: “siamo già esperti! Conosciamo già questo argomento!” in assenza di comportamenti squalificanti, si osserva una relazione didattica di tipo complementare. Oppure, in immersione, quando osserviamo spesso subacquei che pinneggiano in solitaria tendendo ad allontanarsi dal gruppo o dalla loro coppia stabilita. Tale comportamento, comunica che il subacqueo non riconosce né il gruppo, né la coppia, né le regole d’immersione: in questo modo si squalificano i ruoli soprattutto degli istruttori o degli accompagnatori rischiando di innescare una modalità relazionale di tipo simmetrico dove uno impedisce all’altro di esercitare il proprio ruolo!
Immergersi nelle relazioni umane richiede un allenamento costante che può apportare vantaggi a diversi livelli nella subacquea.
Nella sintesi cosa passa un istruttore ad un allievo? Solo la tecnica o una serie di informazioni preziose anche legate al contesto? In primo luogo un operatore subacqueo, rappresenta il biglietto da visita del Diving o della scuola in cui lavora. Per cui, l’allievo subacqueo conosce il diving o la scuola proprio attraverso la relazione con l’operatore, e la subacquea attraverso il modo di interpretarla da parte del Diving, che si ispirerà ad una sua vision e mission alla quale l’istruttore aderisce e ne rappresenta la parte viva.
Che sia un istruttore o un accompagnatore, chi guida un gruppo piccolo o grande che sia, deve dare sempre la sensazione, quindi comunicare che la sua è una presenza sempre vigile alle esigenze e alla sicurezza di tutti, ad esempio mantenendo il più possibile lo sguardo su gli altri subacquei, quindi non perdendoli di vista, e non voltandogli le spalle, oppure indicandogli un particolare elemento interessante del fondale, mandandoli avanti e controllandoli da dietro. Insomma creando un rapporto relazionale che stimola una solida sensazione di fiducia verso lo stesso.
Nel mondo della disabilità in generale ciò che rende riabilitativo un esercizio è la relazione tra l’operatore e la persona disabile. Senza relazione d’aiuto la persona disabile neppure ci proverebbe, e se lo facesse, si ammalerebbe ulteriormente di solitudine! La relazione è un ponte su cui si incontrano la disabilità (talvolta invalidante) e la possibilità. Ed insieme si fondono in un mix di nuove sfide evolutive. Nella relazione l’operatore presta una parte del suo se fatto di soft skill come motivazione, incoraggiamento, tenacia verso la persona disabile nel tentativo di stimolare l’attitudine a trasformare i limiti in risorse! Non di meno nella pratica subacquea la relazione con l’istruttore per la persona con disabilità è tutto! Come tutti gli allievi subacquei, e come i bambini, egli deve sviluppare le funzioni di base come respirare attraverso l’erogatore, deambulare in acqua, ossia pinneggiare, e soprattutto comunicare con l’altro, perché la disabilità più invalidante è l’isolamento.
Noi possiamo fissare il punto d’inizio o la fine di un’immersione in diversi momenti: quando si svuota il gav, quando si prepara l’attrezzatura o con l’emersione in superficie, o il ritorno sulla terra ferma. Ma possiamo stabilire quando inizia o finisce la nostra immersione nelle relazioni umane? Una comunicazione efficace nasce quando noi siamo consapevoli che non possiamo non comunicare e che, sulla base delle comunicazioni, fondiamo le nostre relazioni. Il contatto tra l’allievo e il mondo della subacquea avviene nel momento in cui si crea una relazione efficace tra il subacqueo e l’istruttore e da quel momento può iniziare l’avventura sott’acqua. Una buona relazione nasce da quella comunicazione efficace che ha permesso agli allievi di promuovere Alberto da istruttore a maestro della subacquea.