Granchio nuotatore - Callinectes sapidus
È ributtante pensare alla mazzancolla e a qualunque gamberetto come a parenti stretti della cavalletta e del grillo, ma è proprio così: i crostacei che vediamo e ammiriamo sott’acqua e che gustiamo a tavola appartengono allo stesso phylum degli insetti, infatti, artropodi gli uni e artropodi gli altri! Si potrebbe dire, dunque, che i crostacei di mare, di lago e di fiume sono degli “insetti acquatici”. E qui gioca la “magia dell’acqua”: immaginiamo, infatti, proprio una mazzancolla oppure un astice come animali delle terre emerse mentre zampettano sul terreno: sarebbero delle “cose” orribili! Invece sono organismi marini e l’acqua li monda di ogni alone di ribrezzo e ne fa degli animali meravigliosi, oltre che prelibatissimi a tavola.
Gli artropodi sono il più grande phylum del regno animale ed è diviso in tre subphyla: insetti, ragni e crostacei. Con tutti e tre, gli artropodi sono presenti nella dimensione terrestre, in quella acquatica e in quella aerea. In sintesi, gli artropodi sono dappertutto benché la loro presenza non sia fortemente evidente a causa delle dimensioni minime della maggior parte delle specie: cinque mosche in una camera sono praticamente invisibili, ma se ogni mosca fosse grande come una gallina?
Tutti gli artropodi, crostacei compresi, sono caratterizzati da un elemento comune, l’esoscheletro, quello che comunemente chiamiamo “guscio”. L’esoscheletro, che letteralmente significa “scheletro esterno”, è una sorta di scatola che contiene le parti molli e gli organi dell’animale. Mentre i vertebrati hanno uno scheletro interno con funzioni di struttura di sostegno, gli artropodi hanno uno scheletro esterno che funziona come un contenitore rigido. Ma se fosse troppo rigido, tutto d’un pezzo, gli organismi forniti di esoscheletro sarebbero impossibilitati a muoversi, ecco perché questo “astuccio” presenta la caratteristica della metamerizzazione: è diviso, infatti, in metameri (o segmenti) tra loro articolati, come si osserva anche negli anellidi (i vermi). In ogni caso, precisiamo che i metameri del corpo dei crostacei rispetto a quelli degli anellidi sono molto meno uniformi: in genere, gli artropodi sono formati da gruppi di metameri spesso fusi tra loro.
I crostacei in mare sono dappertutto, proprio come gli insetti sulla terraferma, nonostante le specie siano solo quarantamila. I più piccoli sono i minuscoli crostacei dello zooplancton, che, nutrendosi di fitoplancton (la parte vegetale del plancton), sono i consumatori primari della piramide alimentare, così come sono crostacei i gamberetti che formano i grandi banchi di krill, di cui le balene fanno grandi spanciate.
Vediamo, adesso, com’è fatto un crostaceo, la sua anatomia.
Nella parte anteriore c’è una zona cefalica (del capo), seguita da una zona intermedia e una terza posteriore. La prima zona prende il nome di cefalotorace ed è un gruppo unico formato dalla testa e dai primi metameri della zona seguente. Di seguito troviamo l’addome. L’estremità posteriore della zona addominale termina con il telson o pigidio, un elemento a forma di aculeo che, insieme con gli uropodi, due lunghe lamine che si dipartono dal penultimo segmento, forma il ventaglio caudale del gambero, utile come propulsore nelle fughe veloci in acque libere.
Così sono fatti un gambero, un’aragosta, un astice e tutti quei crostacei che si sviluppano in lunghezza e che vengono definiti crostacei macruri. I granchi, il cui carapace si sviluppa in larghezza con forma vagamente tondeggiante, sono definiti crostacei brachiuri. Nei granchi l’addome è poco visibile poiché è ripiegato sotto il carapace e ha dimensioni molto ridotte rispetto a quest’ultimo. Sia i macruri sia i brachiuri sono decapodi, cioè hanno dieci zampe.
Nei macruri sono evidenti due paia di antenne situate sulla testa. Il primo paio comprende le antennule o prime antenne, il secondo paio le seconde antenne. Le funzioni delle antenne sono diverse: ricezione sensoriale, alimentazione etc.
Dietro le antenne ci sono le mandibole e, subito dopo, le mascelle, queste ultime costituite dalle prime mascelle e dalle seconde mascelle.
I crostacei che abitualmente vediamo sott’acqua o sul banco del pescivendolo, e cioè i gamberi, i granchi, le aragoste, gli astici, gli scampi etc., appartengono tutti alla classe dei malacòstraci, parola greca composta da malakos = molle e ostrakon = guscio o conchiglia, che significa “guscio morbido”, e infatti l’esoscheletro dei crostacei non è particolarmente duro. Non è, ad esempio, duro come la conchiglia dei molluschi bensì più o meno flessibile a seconda delle specie. La classe dei malacostraci annovera tutti i crostacei decapodi, cioè con dieci arti ambulacrali. Inoltre, una loro caratteristica è il corpo costituito da diciannove metameri: cinque per il capo tra loro fusi, otto per il torace e sei per l’addome. In alcuni testi potrete leggere venti o ventuno segmenti, a seconda se si tiene conto o meno dei metameri fusi insieme.
Il capo e il torace costituiscono il cefalotorace, a sua volta coperto e protetto da uno scudo in un unico pezzo: il carapace.
Come respirano i crostacei? Come respirano, dunque, il gambero, l’aragosta, il granchio e tutti gli altri?
Sono due i sistemi respiratori presenti nei crostacei: alcune specie presentano delle branchie di consistenza setolosa situate alle attaccature delle zampe al carapace, altre, invece, sono dotate di un sistema branchiale situato in posizione ventrale e costituito da lamelle che prendono il nome di scafognatiti. Questi muovono l’acqua contenuta in una cavità e la fanno scorrere sulle branchie del crostaceo. Quanto più veloce sarà questo movimento tanta più acqua irrorerà le branchie e tanto più ossigeno verrà assunto. In ogni caso, i crostacei, al pari dei pesci, possono contare anche in una ossigenazione per solo contatto del corpo con l’acqua (respirazione epidermica). La respirazione branchiale, quindi, assume grande importanza in quei casi in cui c’è necessità di una ossigenazione superiore al normale, come nei casi di fughe veloci per sottrarsi ad un predatore.
I crostacei sono dotati di organi specifici a cui è demandato il senso dell’equilibrio. Il loro nome è statocisti. Ognuno di questi apparati è costituito da una cavità contenente delle cellule ciliate denominate neuromasti e dei granuli duri mobili, gli statoliti. Questi ultimi per gravità si appoggiano sulle ghiandole ciliate che, sollecitate, mandano impulsi al sistema nervoso e questo li traduce in informazioni sulla posizione assunta dall’animale.
Sono molti gli animali di diversi phyla che posseggono le statocisti. Probabilmente esse sono state i primi organi di percezione degli esseri viventi e nel tempo si sono perfezionate ed evolute. Ad esempio, gli organi dell’udito funzionano in maniera simile alle statocisti e ciò fa supporre che tra i due sistemi possa esistere un nesso evolutivo.
In particolare nei gamberi, le statocisti si trovano nelle prime antenne e possono essere scoperte effettuando una sezione: troveremo, infatti, una cavità con un minuscolo corpo solido all’interno, lo statolito, adagiato sopra il suddetto tappeto di cellule ciliate. Il movimento dello statolito è subordinato al movimento del gambero, così come la sua posizione e, quindi, il gruppo di cellule ciliate che vengono toccate e sollecitate. Ne derivano informazioni sulla posizione assunta dal crostaceo, ma anche sulla sua velocità di progressione poiché a velocità diverse sarà diversa anche la compressione esercitata dallo statolito sulle cellule ciliate.
I crostacei hanno occhi simili a quelli degli insetti e cioè occhi composti, formati da unità visive denominate ommatìdi. Ogni ommatìdio può essere paragonato ad un occhio singolo che raccoglie informazioni su una piccola parte del campo visivo.
Negli ommatidi la luce penetra con diversi livelli di intensità, il campo visivo totale, quindi, costituito dalle immagini parziali di ogni ommatidio, è un mosaico formato da tessere con livelli di intensità differenti e con basso potere risolvente. Gli occhi composti, quindi, consentono una vista scadente, ma offrono anche dei vantaggi: sono dotati, infatti, di una speciale schermatura che entra in azione in situazioni di luce molto forte ed evita che l’animale resti abbagliato. Questa schermatura, dunque, si comporta più o meno come degli occhiali da sole, per scomparire quando l’intensità di luce raggiunge livelli più bassi.
I crostacei vedono a colori o in bianco e nero? È giusto porsi questa domanda. In realtà, gli occhi composti possono dare immagini a colori, ma i colori sono diversi da quelli percepiti dai nostri occhi. Del resto, per un animale che vive al buio o in forte penombra come un gambero, distinguere colori non è importante come per un insetto, che deve riconoscere i fiori per suggerne il nettare.
Al di là del senso della vista, i gamberi e i crostacei in genere, così come i pesci, si servono di altri sensi di percezione per vivere agevolmente in ambienti oscuri.
I carapace non si accresce con il crostaceo ma stagionalmente deve essere cambiato. Questo processo prende il nome di muta. A volte potrebbe capitare di trovare magari un’aragosta di consistenza molle. Ciò significa che essa ha ultimato la muta del carapace ed è in attesa che lo strato epidermico esterno assuma sali minerali per raggiungere una forte consistenza.
Il carapace è formato dalle cosiddette cellule tricogene, che a loro volta producono le cellule ghiandolari dermiche, le cui secrezioni vanno a costituire la cuticola del carapace. Questa è divisa in tre strati: quello esterno, detto epicuticola, quello intermedio, la mesocuticola, e quello interno, la endocuticola.
La cuticola è costituita per il 30-50% di chitina, una sostanza semirigida e flessibile simile alla cellulosa delle piante. Le molecole di chitina si uniscono e formano delle fibrille, che, a loro volta, vanno a costituire degli strati diversamente orientati per comporre una superficie ben resistente agli urti e alla compressione.
Nella mesocuticola diverse proteine tra loro legate conferiscono durezza alla cuticola. Un ulteriore processo di indurimento avviene grazie alla deposizione di carbonato e fosfato di calcio nell’endocuticola e nell’esocuticola.
Il carapace dei crostacei in un certo senso è simile alla conchiglia dei molluschi, anch’essa costituita da tre strati, e ciò ci induce a riflettere sul fatto che le filogenesi di tutti gli organismi viventi, direttamente o per vie traverse, sono tutte tra loro collegate. Non dimentichiamo, dunque, quella teoria della storia della vita che vede un unico primo organismo dal quale hanno avuto origine tutti gli altri.
La presenza di calcio nelle varie parti del carapace di un crostaceo genera zone più o meno dure. Ad esempio, gli arti, che sono flessibili, contengono meno calcio, a differenza del carapace che copre il capo e gli organi interni. Alcuni punti fortemente calcificati presenti all’interno della cavità del corpo sono demandati all’inserimento dei muscoli.
Stagionalmente, dunque, i crostacei effettuano la muta del carapace, ma come avviene questo processo? Il crostaceo (così come tutti gli artropodi) produce l’ormone ecdisone, che lo induce ad elaborare una cuticola nuova sotto quella preesistente. Quest’ultima si divide in pezzi e viene digerita dall’animale. Subentra, quindi, la nuova cuticola, che si insedia dopo un certo tempo, la cui robustezza è data dai sali minerali (in particolare carbonato a fosfato di calcio) contenuti nel nutrimento del crostaceo e nell’acqua in cui esso vive. Ci sono, infatti, acque più o meno ricche di sali di calcio L’ormone ecdisone, che stimola la muta del carapace (per questo la muta prende anche il nome di ecdisi), è un ormone steroideo, quindi prodotto dal colesterolo. Per questo motivo, chi accusa eccesso di colesterolo non deve abusare nel consumare crostacei. Gli ipertesi devono farne ugualmente un uso moderalo in ragione del loro contenuto di sodio.
Durante il periodo della muta e in special modo durante la fase di indurimento della cuticola molti crostacei si nascondono per sfuggire ai predatori. L’aragosta, ad esempio, scende in profondità, va a nascondersi in anfratti difficilmente raggiungibili dai predatori e arricchisce il suo nutrimento con cibo contenente forti quantità di carbonato e fosfato di calcio. Molte aragoste in cattività durante la muta si nutrono ampiamente di conchiglie di mitili.
Il liquido vitale umano e dei vertebrati in genere è il sangue. Quello dei crostacei, così come di molti altri invertebrati, è l’emolinfa. Il loro sistema circolatorio è costituito da un cuore con una sola cavità. Il sistema circolatorio dei crostacei, come quello di tutti gli artropodi (il phylum a cui appartengono anche insetti e ragni) è di tipo aperto: l’emolinfa giunge in una cavità denominata emocele, contenente gli organi vitali dell’organismo, e li bagna. Grazie a grandi arterie l’emolinfa torna al cuore, poi procede verso le branchie e qui avvengono gli scambi gassosi: cessione di anidride carbonica e assunzione di ossigeno.
Qualche dato curioso: nei gamberi la frequenza cardiaca dipende dalla temperatura ed è regolata da un complesso di nove cellule.
La frequenza in un grosso gambero di circa mezzo chilo, come un’aragosta, un astice o una grossa magnosa, raggiunge le cento contrazioni al minuto.
La pressione generata da ogni battito del cuore del suddetto gambero raggiunge circa 13 mm di mercurio (la nostra pressione arteriosa normalmente si aggira attorno ai 130 mm di mercurio).
I crostacei sono a sessi separati (dioici): ci sono, dunque, il maschio e la femmina salvo pochi casi di ermafroditismo, come nei cirripedi, a cui appartengono i balani, più conosciuti come denti di cane. In alcune specie di crostacei il maschio è dotato di un organo copulatore, in altre gli spermatozoi vanno a fecondare le uova della femmina per mezzo di appendici addominali denominate pleopodi, a cui le uova restano incollate grazie ad una speciale sostanza adesiva. Dall’uovo fecondato nasce una prima larva, il nauplius, dotata di un solo occhio, che si trasforma in una seconda larva detta zoea. Da quest’ultima ha origine una terza larva, la mysis, e infine la postlarva, con le sembianze dell’individuo adulto. Questa dinamica non è uguale per tutte le specie di crostacei: in alcune, infatti ci sono delle variazioni. Inoltre, questa sequenza di stadi larvali si è parzialmente contratta, tant’è che a volte si osserva la formazione della prima larva, il nauplius, già all’interno dell’uovo, con la trasformazione in zoea alla schiusa.
Ci sono crostacei con tendenza a nuotare e altri con tendenza a deambulare sul substrato. I primi appartengono al sottordine dei natanti, gli altri a quello dei reptanti. Per stabilire se un gambero è una specie natante o reptante si deve osservare la forma del carapace e verificare se l’addome è compresso e largo oppure stretto e sviluppato più in altezza che in larghezza. Nel primo caso ci troviamo al cospetto di un reptante, nel secondo caso di un natante.
È interessante la storia evolutiva (la filogenesi) dei crostacei. I biologi evoluzionisti, appoggiati anche dalle indagini effettuate sul DNA, ipotizzano che esista un legame con gli anellidi, in un certo senso confermato dal fatto che sia i crostacei sia gli anellidi hanno in comune la caratteristica della metameria, cioè del corpo diviso in segmenti (metameri). L’ipotesi è che anellidi primitivi abbiano sviluppato un carapace in ragione di un ispessimento epidermico seguito da un processo di calcificazione. Si potrebbe pensare, quindi, ad un progenitore comune di anellidi e crostacei, ma, data per buona questa ipotesi, resta da stabilire se il progenitore sia stato uno solo, nel qual caso si parlerebbe di un phylum monofiletico, oppure se i progenitori siano stati più di uno, e allora il phylum sarebbe polifiletico. Nel primo caso, da un progenitore caratterizzato da corpo diviso in metameri si sarebbe evoluta una sola linea di artropodi ancestrali; nel secondo caso, da più progenitori metamerici sarebbero stati generati diversi gruppi di artropodi secondo linee separate. Sia l’una sia l’altra teoria hanno dalla loro valide argomentazioni, ma non è stata ancora stabilita la verità. Certamente vi riuscirà, in futuro, la biologia molecolare con ulteriori studi sul DNA, che faranno luce su tante altre pagine attualmente oscure della storia della vita.