Biologia marina


Anche in questo numero il Prof. Adriano Madonna ci illustra con grande chiarezza un argomento molto affascinante, la vita della Posidonia, grande compagna delle nostre immersioni ed elemento assolutamente prezioso per la salute dei nostri mari.


Posidonia oceanica: la pianta che fa miracoli


Prof. Adriano Madonna
biologo marino di EClab Laboratorio di Endocrinologia Comparata,
Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Napoli “Federico II”

Un “viaggio nella posidonia”, la pianta marina più importante del Mediterraneo.
Non è solo una “fabbrica di ossigeno” ma offre un’immensa serie di vantaggi che andremo a scoprire.

Si parla spesso della posidonia, ma, in genere, ci si ripete: produce ossigeno, è una barriera contro l’erosione delle spiagge etc.
Cercheremo di andare più a fondo, polarizzando la nostra attenzione anche su elementi meno noti.

Iniziamo, dunque, con una sorta di carta d’identità di Posidonia oceanica, precisando, innanzitutto, che di oceanico (se ci riferiamo a quelli che geograficamente chiamiamo oceani) non ha proprio niente, poiché questa pianta marina è attualmente endemica del Mediterraneo pur esistendone una specie molto simile in Australia, nota come Posidonia australis. C’è, comunque, un motivo che spiega l’aggettivo “oceanica” e che identifica la specie, ma si deve risalire alle origini, quando questa pianta era diffusa in aree geografiche molto più grandi, che comprendevano zone tropicali ed equatoriali. In seguito a mutamenti delle condizioni ambientali, dunque, la posidonia abbandonò altri mari per “ritirarsi” nel nostro Mediterraneo e sulle coste dell’Australia, dove vive, appunto, Posidonia australis, che in quelle acque ha trovato concrete possibilità per la propria esistenza.

Alghe e piante superiori

Quando si parla di piante marine si resta un po’ interdetti: i non addetti ai lavori, infatti, in mare “vedono” più le alghe che le piante, anche se a volte si è portati a pensare che piante superiori marine e alghe siano la stessa cosa. È importante, quindi, precisare che tra piante e alghe c’è una bella differenza: infatti, pur appartenendo entrambe al regno vegetale, le piante superiori si differenziano in radici, fusto e foglie, fioriscono e producono frutti. Le alghe, al contrario, presentano una struttura unica, un tessuto indifferenziato detto tallo, e non producono né fiori né frutti.

In mare, oltre alla arcinote alghe, ci sono anche piante superiori, come Cymodocea nodosa, Zostera nolti, Halophila stipulacea, Posidonia oceanica etc.. Certo, non sono molte rispetto alle alghe, ma, al pari di Posidonia oceanica, sono fanerogame (tutte protette dall’attuale normativa) e anche questo è un termine da chiarire. Consultando un dizionario scientifico, si scopre che il termine fanerogama deriva dall’unione di phaneròs, che in greco significa evidente, e gàmos, nozze. Le due parole, insieme, significano “nozze evidenti” e ci si riferisce, ovviamente, alla riproduzione sessuata di queste piante, dette, appunto, fanerogame o spermatofite, di cui si osservano fiori, frutti e semi, quindi gli elementi necessari alla riproduzione.

Su come Posidonia oceanica a un certo punto della storia del mondo si sia trovata sul fondo del mare non sappiamo dire niente di certo, ma secondo una teoria del 1970 di Den Artog, l’attuale posidonia è una evoluzione di fanerogame terrestri che avevano la capacità di vivere (inizialmente per brevi periodi) in acque salate. In principio, certamente queste piante si trovavano nella zona intertidale, cioè in quella fascia costiera coperta e scoperta dall’acqua a seconda del flusso e del riflusso di marea, poi è subentrata una trasformazione di tessuti e apparati fisiologici, in particolare per quanto riguarda il fenomeno dell’osmosi, e la posidonia è riuscita a svincolarsi dalla zona intertidale per “migrare” verso il fondo del mare. A questo punto, l’impollinazione anemofila è stata sostituita da quella idrofila. Ciò significa che i gameti sessuali, invece di essere trasportati dal vento, vengono portati dalle correnti marine e da altri idrodinamismi (onde, maree etc.).

In tema di riproduzione

Chi frequenta spesso fondali marini ricchi di praterie di posidonia si sarà reso conto che questa pianta non usa costantemente e con frequenza la riproduzione sessuata per ampliare le proprie praterie. Personalmente, posso dire che in oltre mezzo secolo di attività subacquea, la riproduzione sessuata della posidonia l’ho vista davvero poche volte, nel senso che raramente ho visto i frutti di questa pianta. Essi assomigliano a delle ghiande e la storia ci racconta che per ghiande li confuse anche Aristotele, dopo averli rinvenuti diverse volte sulle rive delle spiagge dove era solito passeggiare, tant’è che a un certo punto concluse che il fondo del mare dovesse essere coperto di foreste di querce.

Ritornando alla riproduzione sessuata della posidonia, dicevamo che essa è rara e solo in alcune aree del nostro Mediterraneo è possibile osservare la presenza dei suoi frutti. Evidentemente, i parametri fisichi e chimici che consentono a questa pianta di riprodursi sessualmente non sono costanti e il fenomeno non ha luogo sempre, ma si alterna con un tipo di riproduzione asessuato. Questa alternanza tra riproduzione sessuata e riproduzione asessuata prende il nome di metagenesi, anche se questo termine è più usato in biologia animale che in biologia vegetale.

La fioritura della posidonia in condizioni climatiche normali si osserva verso settembre nelle acque meno profonde e verso novembre a maggiori profondità.

I fiori, che sono ermafroditi, spuntano dal centro di un ciuffo di foglie. La maturazione del frutto si ha dopo circa sei, nove mesi. Questo, inizialmente verde, diventa scuro come un’oliva, poi si stacca e sale in superficie, dove, in balia delle correnti, del vento e del moto ondoso, si sposta dalla sua area di origine e può giungere anche molto lontano. In capo a qualche giorno, il tessuto esterno, detto pericarpo, marcisce, si apre e lascia cadere il seme sul fondo. A questo punto, se esso atterra su un substrato morbido con condizioni favorevoli, attecchisce e produce una nuova pianta.

Polarizziamo la nostra attenzione sul fatto che questa fase della riproduzione che vede il frutto in balia delle onde è una vera e propria strategia affinché la pianta riesca a colonizzare altre aree del fondo, anche lontane da quelle di origine. Del resto, abbiamo osservato la stessa strategia anche da parte di organismi animali, in cui si assiste molto spesso a una fase pelagica di uova e larve, proprio perché queste possano andare a colonizzare altri tratti di fondale.

Abbiamo detto che raramente la posidonia si serve della riproduzione sessuata. Usa, invece, accrescere orizzontalmente i rizomi sotto il sedimento (stolonizzazione) affinché possano svilupparsi nuovi ciuffi fogliari (l’accrescimento dei rizomi è di circa 5-10 centimetri l’anno). Ogni ciuffo è composto da sei, sette foglie disposte a ventaglio (fillotassi distica), la cui crescita è maggiore in primavera e minore d’estate.

Glucosio e ossigeno

Piante (terrestri e acquatiche) e alghe, grazie alla luce del sole riescono ad espletare quel fenomeno ben noto come fotosintesi clorofilliana. C’è però da aggiungere che parlando di fotosintesi, in genere si ha l’abitudine di citare solo la produzione di ossigeno e “quasi mai” quella del glucosio. Precisiamo, quindi, che, grazie alla fotosintesi, le piante producono glucosio e ossigeno trasformando, in presenza di luce (fattore essenziale!), sostanze inorganiche semplici, come acqua e anidride carbonica.
Per dirla in numeri, sei molecole di anidride carbonica più sei molecole d’acqua, grazie all’energia luminosa si trasformano in una molecola di glucosio e sei molecole di ossigeno. Ma se l’ossigeno è importante, è importante anche lo zucchero: senza zucchero, infatti, le piante (posidonia compresa) non potrebbero vivere, poiché il glucosio è il loro nutrimento, il loro cibo. Possiamo dire, dunque, che gli organismi vegetali hanno la capacità “straordinaria” di autocostruirsi il cibo e per questo vengono definiti organismi autotrofi. Pensate come sarebbe comodo se anche noi fossimo in grado di “autocostruirci” una bistecca o un piatto di spaghetti. Ma noi, a differenza delle piante, siamo organismi eterotrofi, cioè costruiamo sostanza organica (i nostri tessuti) assumendo dall’esterno altra sostanza organica (il cibo).

Tornando alle piante e alla posidonia in particolare, precisiamo che l’ossigeno è determinante per la vita dell’ambiente aereo così come di quello acquatico. Inoltre, ha la funzione di mutare il nutrimento in energia. La produzione di glucosio è altrettanto importante: non dimentichiamo, infatti, che senza glucosio non vi sarebbero piante e quindi neppure ossigeno (come alle primissime origini del pianeta). Inoltre, il glucosio è una enorme fonte di energia per il mondo acquatico come per la terraferma e la sua produzione è uno dei fenomeni più grandiosi osservabili in natura: si pensi che ogni anno vengono prodotti, da tutti gli organismi fotosintetici, milioni e milioni di tonnellate di glucosio.

Dove si trova

Come tutte le piante verdi ricche di clorofilla e dotate di quegli organelli chiamati cloroplasti, a cui è demandata la funzione della fotosintesi, anche la posidonia ha bisogno di luce e di un substrato morbido in cui affondare le radici. Precisiamo che la parte “interrata” di questa pianta è formata da lunghi elementi orizzontali, detti rizomi, dai quali si dipartono verso il basso le radici e verso l’alto i ciuffi di foglie.

Queste possono raggiungere altezze variabili da pochi decimetri sino a oltre un metro di lunghezza (a Malta ho visto foglie di posidonia lunghe più di un metro e mezzo) e, ovviamente, ciò dipende dalle condizioni ambientali, che possono essere più o meno favorevoli alla crescita.

Fondali che un tempo abbondavano di posidonia adesso ne sono privi, poiché il torbidume delle acque (una volta limpide) impedisce alla luce del sole di arrivare efficacemente sino al fondo per innescare il fenomeno della fotosintesi. Di contro, altre zone costiere sono completamente ammantate di lussureggianti praterie verdi. Tanto per citare alcuni di questi luoghi felici del nostro Paese: Stromboli, l’Isola del Giglio, Ponza, Ventotene, Scilla, il Circeo etc. In sintesi, chi oggi ha il privilegio di vedere la posidonia sui propri fondali, se la conservi!

Uno dei parametri più importanti per classificare le praterie di posidonia è la densità, cioè il numero di fasci di foglie presenti in un metro quadrato di fondo. In base a questo dato, le praterie di Posidonia oceanica si distinguono in: molto dense (con più di settecento fasci), dense (da settecento a quattrocento fasci), rade (da meno di quattrocento a trecento fasci), molto rade (da meno di trecento a centocinquanta fasci), semipraterie (da meno di centocinquanta a cinquanta fasci). Quando si contano meno di cinquanta fasci di foglie per metro quadrato di fondale non si parla più di prateria bensì di fasci isolati.

La prateria è chiusa da un limite superiore (verso la costa) e da un limite inferiore (verso il largo). Il limite inferiore è particolarmente importante da un punto di vista biologico poiché introduce il concetto importantissimo di “profondità di compensazione”.

La profondità di compensazione

Sappiamo che la quantità di luce che penetra sott’acqua diminuisce con l’aumentare della profondità e che la posidonia ha bisogno di una certa quantità di energia luminosa per effettuare la fotosintesi clorofilliana.

Immaginiamo, dunque, un fondale ricoperto di posidonia che scende gradatamente verso profondità maggiori. Ovviamente, più il fondale scende, meno luce c’è, fino ad arrivare ad una profondità dove i processi di fotosintesi saranno appena sufficienti per la sopravvivenza della pianta e cioè i processi di produzione uguaglieranno quelli di respirazione. Quella profondità viene definita profondità di compensazione e la corrispondente intensità luminosa intensità di compensazione.

Spiegando il concetto con altre parole perché sia ben comprensibile, possiamo dire che la profondità di compensazione è un limite di profondità in cui l’energia che la pianta produce attraverso la fotosintesi bilancia esattamente (compensa) il suo consumo per mantenere attivi i processi vitali. In pratica, a questa profondità la quantità di ossigeno prodotta con la fotosintesi equivale alla quantità di ossigeno necessaria alla pianta per vivere.

Al di sopra di questa profondità la pianta riceve abbastanza luce per prosperare. Al di sotto, la luce che le arriva è insufficiente a fornire energia per i processi vitali. Oltre la profondità di compensazione la posidonia scompare proprio perché non riesce più a vivere.

Poca luce, troppa luce

Ogni specie di pianta (posidonia compresa) ha un suo optimum di luce al quale risponde con la migliore resa fotosintetica e non sempre più luce equivale a più fotosintesi: oltre certi valori di illuminanza, infatti, la pianta comincia a soffrire e si manifesta quella che viene chiamata fotoinibizione.

Questi dati diventano molto importanti se consideriamo anche le alghe: infatti, da una ricerca condotta su otto specie di alghe e cinque specie di piante superiori è emerso che la massima resa fotosintetica per molte specie di piante si ottiene per illuminanze comprese tra i 10.000 e i 20.000 lux, mentre per le alghe si ha tra i 20.000 e i 35.000 lux, quindi proprio nella zona in cui inizia l’inibizione per le piante. È comunque doveroso dare qualche indicazione su questa unità di misura, il lux: mentre, infatti, il lumen è la misura della quantità di luce, il lux è l’unità di misura della quantità di luce in relazione alla superficie. Precisamente, un lux è un lumen su un metro quadrato.

È ovvio che a seconda della trasparenza delle acque, la profondità di compensazione varierà da luogo a luogo poiché, se le acque sono torbide, la luce riesce a penetrare scarsamente. Là dove, invece, le acque sono molto limpide, la luce riesce a penetrare fino a grandi profondità e quelli sono anche i mari dove le praterie di posidonia sono più floride e verdi, formando una sorta di savana sommersa dove vive e si nasconde una infinita varietà di animali marini.

Un ecosistema vario

L’ecosistema posidonia è particolarmente interessante poiché può essere definito come la sede di una infinità di nicchie ecologiche, con altrettanti “inquilini”. Osservando, infatti, un piccolo tratto di fondale coperto da posidonia, ci rendiamo immediatamente conto che verso la parte alta delle foglie, esposte a molta luce, possono trovarsi quegli organismi che vogliono un ambiente luminoso.

Mano a mano che si scende verso la base della pianta, troviamo diverse zone di penombra, che possono essere scelte da altri organismi in cerca di livelli di luce diversi. Alla base della pianta, tra i rizomi, troviamo tutta una serie di forme animali fossorie, cioè viventi sotto il sedimento. In sintesi, questo mondo fatto di lunghe foglie verdi, che a prima vista potrebbe sembrare povero di vita, è, invece, una sorta di scrigno di “vita nascosta”.

A mio avviso, il momento migliore per andare a “visitare” una prateria di posidonia sono le ore della notte, quando anche in questo verde regno si scatena la corsa alla predazione. Sono infatti numerosissimi i predatori che scelgono le verdi praterie come terreno di caccia, ben consapevoli che in quell’intrico di foglie le prede non mancano. Di contro, altri animali nella posidonia vanno a nascondersi e cercano riparo. Altri ancora, nell’intrico delle verdi foglie vanno a riprodursi.

A tal proposito, ricordo che tanti ani fa, a Malta, durante un’immersione notturna, mentre ero intento a inquadrare nel mirino della macchina fotografica un paguro che zampettava lungo una foglia di posidonia, a un certo punto intravidi nel margine del fascio luminoso della torcia qualcosa di enorme: si trattava di un dentice stupendo di non meno di una decina di chili che venne a posarsi leggero sulla posidonia come un angelo si adagerebbe sopra una nuvola. La sosta gli servì per “fare il punto della situazione”, poi, con una scodata partì a razzo e trangugiò in un batter d’occhi un cefaletto spaventato che si aggirava nei paraggi.

I predatori, comunque, si trovano anche alla base dei fasci di foglie: più di una volta, infatti, ho visto polpi e polpesse scivolare sul sedimento e fare lo slalom tra fusto e fusto scavando con la punta dei tentacoli per banchettare con succulenti tartufi di mare, un bivalve che tra i rizomi della posidonia si trova con una certa facilità, come ben sanno i pescatori di frutti di mare.

La rete trofica

Possiamo dire che in una prateria di posidonia, in funzione delle forme animali che vi si trovano, si instaura una vera e propria rete trofica, che possiamo schematizzare.

In prossimità dell’inizio di questo rapporto trofico troviamo i cosiddetti consumatori primari, cioè gli erbivori, che si nutrono sia delle foglie della posidonia sia delle minuscole alghe che vi crescono sopra (alghe epifite). Troviamo, poi, i consumatori secondari, i carnivori, costituiti da molluschi cefalopodi, crostacei e pesci di varie specie.

Le foglie morte della posidonia, invece, vengono decomposte dai batteri, che le riducono a sostanze che vengono ingerite dagli organismi detritivori, come le oloturie.

A protezione delle spiagge

Le spiagge che possono avvalersi della presenza di un posidonieto sul fondale subito prospiciente (quindi a profondità non troppo elevate) risentono molto meno del fenomeno dell’erosione: la prateria subito antistante la costa, infatti, “spegne” la forza del moto ondoso e limita molto la sottrazione di sabbia. Le praterie di posidonia, dunque, possono rappresentare un fattore di stabilità dei fondi mobili e delle rive. Le onde e le correnti vengono ammortizzate dall’azione frenante delle matte (gli strati sovrapposti di rizomi che si innalzano in verticale dal fondo del mare) e delle foglie spesse e alte e il sedimento in transito viene trattenuto. Questa azione è estremamente importante, tant’è che si è osservato che le spiagge protette da folte praterie di posidonia presenti sui fondali antistanti resistono talmente bene all’erosione da salvare anche trenta metri di arenile.

Inoltre, quando la posidonia secca, le foglie, trasportate dalla corrente e dalle onde, vanno a formare le famose banquette, grossi cordoni che diventano vere e proprie barriere di protezione: una sorta di scudo dove l’onda si smorza.

Durante un’escursione lungo la costa del Salernitano, diversi anni fa, vidi delle banquette di posidonia di incredibile altezza ed estensione, tant’è che da lontano sembrava trattarsi addirittura di scogliere, poiché le foglie secche si erano compattate a formare una sorta di “tenace cartapesta”.


Egagropili, una parola difficile


Quante volte abbiamo visto sulla battigia e preso tra le mani con curiosità delle pallette setolose, leggere e di un colore marroncino chiaro?
Io le ricordo da bambino e, chiedendo in giro di che cosa si trattasse, ricevevo le risposte più varie.
Dopo tanti anni appresi che quelle strane palline setolose, che possono essere di diverse dimensioni, non sono altro che fibre di posidonia “arrotolate” dal moto ondoso.
In pratica, la foglia di posidonia secca si smembra e le sue fibre vengono compattate dalle onde secondo una forma a volte perfettamente sferica e altre volte schiacciata ai poli.

Non dimenticate, dunque: si chiamano egagropili e sono un “giocattolo” della posidonia, questa pianta marina straordinaria che dovrebbe essere maggiormente protetta poiché è una vera e propria fonte di vita, un regalo che il nostro Mediterraneo ci ha fatto in tempi lontani ma che l’uomo moderno sembra che non sappia apprezzare in pieno.

Bibliografia

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