Ossigeno Terapia Iperbarica e SARS-COV 2: “Mancarono le camere iperbariche, non il razionale”

La recente pandemia che nessuno di noi potrà dimenticare, nella speranza che riduca sempre più l’aggressività, ha enormemente stimolato la ricerca scientifica nel disperato tentativo di trovare rimedi efficaci in tempi ristretti che non si erano mai visti prima nella normale sperimentazione clinica.

Anche l’Ossigeno Terapia Iperbarica (OTI) in tutto il mondo ha stimolato, per i suoi meccanismi d’azione potenzialmente benefici nella cascata fisiopatologica scatenata dal virus, è stata oggetto di approfondimento e sperimentazione in questi pazienti.

Ricordiamo i noti effetti di OTI sull’organismo e come il razionale dell’applicazione nella patologia da sars-cov 2 non sia campato per aria:

  • Azione di modulazione della risposta immunitaria ed inibizione della produzione di citochine proinfiammatorie (-> contro la tempesta citochinica)
  • Aumento della pressione parziale dell’ossigeno a livello alveolare tale da favorire la diffusione alveolo capillare per gradiente (->inspessimento dell’interstizio alveolo capillare tale da non permettere il passaggio di ossigeno a pressione ambientale, ricordando che la capacità di diffusione polmonare di un gas (Dp) è per l’ossigeno = 21 ml/min/mmHg e molto maggiore per l’anidride carbonica = 200 ml/min/mmHg)
  • Possibile riduzione della proliferazione virale. (osservata in altro virus a RNA).

 

Per gli stessi meccanismi d’azione associati agli effetti riportati di neuromodulazione OTI è stata proposta anche nel trattamento della sindrome nota come LONG COVID. Questa sindrome sembra coinvolgere circa il 50% dei soggetti che hanno superato la malattia https://www.nature.com/articles/s41591-021-01433-3 e che poteva perdurare nel 13% delle persone per più di 28 giorni; il 5% per più di 8 settimane; il 2% per più di 12 settimane;  https://www.nature.com/articles/s41591-021-01292-y 

La sintomatologia legata al POST COVID principalmente è rappresentata da stanchezza, problemi di memoria e di concentrazione, perdita del gusto e dell’olfatto, vertigini, mal di testa, difficoltà nel sonno, respiro corto, palpitazioni e battito irregolare, sintomi neurologici come ansia o stress, disturbi gastrointestinali, iper-sudorazione, eritemi cutanei, perdita di capelli, debolezza delle unghie, dolori muscolari, problemi renali.

Selezionando https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/?term=%28%22Hyperbaric+Oxygenation%22%5BMesh%5D%29+AND+%28+%22COVID-19%22%5BMesh%5D+OR+%22SARS-CoV-2%22%5BMesh%5D+OR+%22COVID-19+Drug+Treatment%22%5BMesh%5D+%29&sort=date&filter=pubt.clinicaltrial&filter=pubt.meta-analysis&filter=pubt.randomizedcontrolledtrial&filter=pubt.systematicreview  su pubmed si rilevano 61 pubblicazioni scientifiche di cui:

  • 3 revisione sistematica che includono studi su pazienti in fase acuta
  • 1 trial clinico randomizzato controllato su pazienti in fase acuta
  • 1 trial clinico su pazienti in fase acuta
  • 3 trial randomizzati nel trattamento della sindrome nota come LONG COVID.
  • Numerosi case report sia nel trattamento in acuto che nella patologia cronica.

Riassumendo i risultati delle pubblicazioni principali (trial clinici e revisioni sistematiche):

In questo studio sono stati valutati 20 pazienti COVID-19 con distress respiratorio che richiedeva fabbisogno di ossigeno compreso tra 2 e 15 litri ma non intubati trattati con sedute OTI a 2.0 ATA in camere iperbariche monoposto per 90 minuti al giorno per un massimo di cinque trattamenti totali, paragonati a gruppo di controllo di 60 pazienti nelle stesse condizioni cliniche. Gli sperimentatori hanno osservato come del gruppo di studio solo 2 pazienti sono stati intubati e sono deceduti e i restanti invece hanno risolto la crisi e sono stati dimessi.  Fra i pazienti del gruppo di controllo invece 18 (30%) sono stati intubati, 13 (22%) sono deceduti e tre (5%) rimasero ricoverati (con uno che necessita ancora di ventilazione meccanica). 

20 pazienti con COVID-19 e grave ipossiemia (SpO2 ≤90% nonostante l’integrazione di ossigeno) sono stati sottoposti a ossigeno a basse pressioni (1.45 ATA) rispetto al gruppo di controllo che ha ricevuto i trattamenti standard. Gli esiti erano il tempo necessario per normalizzare il fabbisogno di ossigeno a SpO2 ≥93%, la necessità di assistenza respiratoria meccanica, lo sviluppo della sindrome da distress respiratorio acuto e la mortalità entro 30 giorni. 

Il tempo per correggere l’ipossiemia è stato più breve nel gruppo di trattamento rispetto al gruppo di controllo; rispettivamente mediana di 3 giorni (IQR 1,0-4,5) rispetto a mediana di 9 giorni (IQR 5,5-12,5) (p<0,010). L’OR per il recupero dall’ipossiemia nel gruppo basse pressioni al giorno 3 rispetto al gruppo di controllo era 23,2 (IC 95% da 1,6 a 329,6; p=0,001) Il trattamento non ha avuto effetti statisticamente significativi sulla sindrome da distress respiratorio acuto, ventilazione meccanica o morte entro 30 giorni dopo il ricovero.

Questo articolo in particolare pone il problema dell’utilizzo di camerette a basse pressioni https://simsi.it/wp-content/uploads/2019/03/Camera_leggere_def.pdf 

Questa revisione sistematica ha selezionato 6 pubblicazioni (uno studio di coorte, cinque case report/serie) che hanno soddisfatto i criteri di inclusione con un totale di 37 pazienti COVID-19 ipossiemici trattati con OTI. Di questi 37 pazienti, la necessità di intubazione e ventilazione meccanica e la sopravvivenza in ospedale sono state valutate per 26 pazienti in tre studi. Di questi 26 pazienti, l’intubazione e la ventilazione meccanica non sono state necessarie per 24, e 23 pazienti sono sopravvissuti. Non sono stati segnalati eventi avversi gravi in OTI nei pazienti COVID-19. 

Concludono che OTI è una terapia sicura e può essere un intervento promettente per ottimizzare il trattamento e gli esiti nei pazienti ipossiemici con COVID-19. 

Gli stessi autori in questo aggiornamento della revisione al punto 5 inseriscono due trial clinici e giungono alle stesse conclusioni.  

Gli autori di questa revisione sistematica includono 8 studi escludendo quelli di scarsa qualità fra studi clinici e case report/serie. La maggior parte degli studi ha utilizzato OTI con pressioni di esercizio fra 1,5-2 (ATA) per sessioni di 90 minuti e successivamente le sessioni sono state ridotte a 60 minuti. Gli studi hanno dimostrato che la maggior parte dei pazienti è migliorata dopo OTI e la saturazione di ossigeno nel sangue è aumentata dopo diverse sedute.

 

Questi lavori invece prendono in considerazione OTI e LONG COVID.

  1. The effect of hyperbaric oxygen therapy on myocardial function in post-COVID-19 syndrome patients: a randomized controlled trial  https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/37301934/ 

Questo studio ha valutato l’effetto di OTI sulla funzione cardiaca dei pazienti affetti da LONG-COVID con sintomi in corso per almeno tre mesi dopo la fase acuta. Un totale di 29 pazienti, che presentavano all’ecocardiografia basale, normale frazione di eiezione (FE), ma alterazione di un indice più riproducibile rispetto alla FE della funzione sistolica, la deformazione longitudinale globale (GLS), divisi fra gruppo controllo (14) che ha effettuato terapia iperbarica placebo e il gruppo di studio (16) che ha effettuato 40 sedute OTI (5 giorni su 7 2.0 ATA durata 90 minuti). La rivalutazione ecocardiografica al termine del ciclo OTI ha mostrato come il parametro GLS sia migliorato significativamente nel gruppo di studio rispetto al gruppo di controllo.

In questi due studi sono stati monitorati 73 pazienti di cui 37 nel gruppo OTI e 36 nel gruppo di controllo che hanno effettuato un ciclo di 40 sedute OTI (2.0 ATA per 90 minuti per 5 sedute a settimana) per LONG COVID. 

Mentre nel primo studio sono stati valutati i bersagli neurologici di OTI e nel secondo i parametri clinici e le variazioni all’imaging.

In particolare sono state valutate le immagini di risonanza magnetica funzionale cerebrale (fMRI) e di diffusione (DTI) prima e dopo il trattamento per valutare i cambiamenti di connettività funzionale e strutturale, le cui alterazioni sembra infatti siano correlate al quadro cognitivo e psicologico disfunzionale.

L’elaborazione di questi dati mostra come OTI migliori le interruzioni nei tratti della sostanza bianca e altera l’organizzazione della connettività funzionale dei percorsi neurali coinvolti nel recupero cognitivo ed emotivo nei pazienti post-COVID-19 a queste evidenze si associano i miglioramenti ai parametri clinici.

Per concludere, come si evince dalla letteratura esistente di buon livello, OTI ha un razionale ed una potenziale efficacia nella patologia da infezione da COVID 19 in fase di acuzie, ma è evidente che un suo impiego di massa, viste le problematiche logistiche ma soprattutto la ridotta presenza sui territori dei centri iperbarici, sarebbe inapplicabile.

Per quanto riguarda invece gli esiti cronici di questa infezione noti come LONG COVID, ove la condizione di emergenza non è più presente, i trattamenti OTI, sulle basi delle evidenze scientifiche, sono più facilmente applicabili e, alla luce delle difficoltà terapeutiche, una possibile opzione.

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