Nel delineare una scala progressiva di cause ed effetti che portano alla “costruzione” della vita, dobbiamo iniziare dalla luce del sole, questa immensa energia a cui si deve quel fenomeno conosciuto come produzione primaria, che si definisce come la velocità di trasformazione fotosintetica e chemiosintetica dell’energia luminosa in sostanza organica sotto forma di biomassa. Tutto ciò significa che, grazie alla fotosintesi clorofilliana, gli organismi vegetali captano l’energia luminosa e la trasformano in energia chimica, che utilizzano per mutare i composti inorganici, quali l’acqua (H2O) e l’anidride carbonica (CO2), in composti organici (glucidi, proteine etc.) e ossigeno, cioè tutto il necessario per la crescita degli organismi vegetali che formano la biomassa. Maggiore è la velocità di questo processo, maggiore sarà la quantità di biomassa generata nell’unità di tempo. Questa variazione di biomassa nel tempo è proprio la succitata produzione primaria.
Da ciò è evidente che il primo passo produttivo ha due protagonisti: il sole e gli organismi vegetali. Questi ultimi sulla terraferma sono in particolare le piante, nel mare le alghe (comprese le microalghe del fitoplancton) e le poche piante superiori marine esistenti, come la posidonia e altre fanerogame. Tra le alghe dobbiamo considerare in particolare il fitoplancton, cioè la parte vegetale del plancton, presente in special modo nello strato superficiale del mare (ma anche di acque dolci di fiumi e laghi), dove la luce giunge in maggiore quantità e con maggiore effetto per innescare il processo di fotosintesi. Oltre all’energia luminosa, gli organismi vegetali hanno bisogno anche di materiali di base per produrre biomassa, proprio come le piante nel terreno necessitano di elementi chimici, i famosi fertilizzanti. Queste sostanze vengono chiamate nutrienti e contengono gli elementi necessari alla sintesi dei carboidrati. Non dimentichiamo che gli organismi vegetali sono in grado, a differenza di quelli animali, di “autoprodursi” il nutrimento proprio grazie alla luce del sole, essenziale componente di quella reazione chimica nota come fotosintesi clorofilliana, che riassume come da anidride carbonica e acqua si ottengano glucosio e ossigeno. Il glucosio è il nutrimento dell’organismo vegetale, l’ossigeno è un secondo prodotto che trasforma il glucosio in energia, ma che è anche essenziale per l’ambiente sia aereo sia acquatico. Per questa loro caratteristica di autoprodurre il proprio nutrimento, gli organismi vegetali vengono definiti autotrofi. Gli organismi animali, invece, che assumono sostanza organica dall’esterno (il cibo), vengono definiti eterotrofi.
I nutrienti principali sono sali di fosforo (P), di azoto (N) e di silicio (Si). Tutti e tre si trovano in concentrazioni modeste nella fascia dei primi 100 - 200 metri di profondità, poiché vengono assimilati dagli organismi del fitoplancton per produrre biomassa, ma sono decisamente più abbondanti a profondità maggiori, essendoci meno luce e, quindi, assenza di fitoplancton. Precisiamo che in primavera e d’estate nei mari temperati come il nostro Mediterraneo la massa del fitoplancton è maggiore mentre d’inverno è meno abbondante.
Carbonio, azoto e fosforo passano continuamente dallo stato inorganico a quello organico e viceversa: ad esempio, il carbonio passa ciclicamente da carbonio inorganico dell’anidride carbonica a carbonio organico del glucosio e così avviene per l’azoto, che forma proteine, mentre il fosforo forma fosfolipidi.
Questi cicli pendolari di trasformazione prendono il nome di cicli biogeochimici, ma come avvengono in pratica?
In superficie i nutrenti vengono assimilati dal fitoplancton. Quest'ultimo viene mangiato dallo zooplancton, i cui prodotti della digestione precipitano verso il fondo e durante la discesa diventano cibo di altri organismi. Ciò che resta arriva sul fondo, viene decomposto da particolari batteri e si ricompone in composti chimici, altri nutrienti, che tornano in soluzione e grazie a particolari dinamiche giungono in superficie a fertilizzare il fitoplancton.
Abbiamo detto che la concentrazione dei nutrienti varia con la profondità, ma si deve aggiungere che essa cambia anche in funzione della distanza dalla costa, poiché in vicinanza della terraferma, grazie ai fiumi, ai flussi d’acqua dolce provenienti dai centri urbani e dalle campagne, dove si usano fertilizzanti, la massa dei nutrienti può essere enorme e quando raggiunge quantità troppo elevate può causare anomalie gravi all’ecosistema.
Sappiamo che i nutrienti, avendo un loro peso specifico, hanno anche un assetto idrostatico e questo varia in rapporto alle caratteristiche dei vari strati d’acqua: variando la densità, infatti, cambierà anche il peso dell’acqua, che, a sua volta, influenzerà la stratificazione dei nutrienti.
Dobbiamo considerare la colonna d’acqua del mare, cioè la massa acquea dalla superficie al fondo, non come una entità statica ma in continuo movimento, poiché i moti del mare sono causati non solo dal vento e dalle onde ma anche dai parametri fisici del mare stesso. Quelli più determinanti sono la temperatura, la salinità e la densità. Esaminiamoli uno per uno.
La temperatura del mare è data essenzialmente dall’energia luminosa del sole che si trasforma in energia termica. La temperatura dell’acqua di mare in superficie, quindi, dipende da fattori giornalieri (può cambiare a seconda dell’ora del giorno), così come da fattori stagionali (i mesi estivi sono più caldi di quelli invernali), oppure ancora da elementi occasionali come il vento e le piogge, e da fattori costanti come le correnti. In funzione della temperatura, la colonna d’acqua si divide in tre strati: uno strato superficiale detto strato mescolato, in cui il calore del sole giunge in profondità grazie al mescolamento delle acque dovuto ai venti e al conseguente moto ondoso.
Il secondo strato prende il nome di termoclino ed è uno “strato speciale”, perché la temperatura diminuisce drasticamente sulla soglia di una certa profondità. Sempre riferendoci al Mediterraneo, nel termoclino estivo (periodo giugno-agosto) la temperatura passa da 22° circa a valori molto più bassi in maniera repentina intorno ai 20 metri di profondità. Ciò significa che durante le nostre immersioni estive, fino a 15 metri di profondità di norma troviamo una temperatura più che confortevole, poi, al passaggio dei -20 ci arriva una botta di freddo tra capo e collo (ecco perché si deve vestire una buona muta anche d’estate!). Il terzo strato è quello profondo e qui la temperatura resta costante intorno ai 2-3°C. L’acqua sarebbe ancora più fredda se non ci fosse l’effetto della pressione idrostatica: la forte compressione sugli strati acquei profondi, infatti, ne solleva la temperatura (la temperatura è direttamente proporzionale alla pressione).
Questo è quanto accade in condizioni normali ma attualmente, con il cambiamento climatico che stiamo subendo, qualcosa è mutato.
Torniamo a parlare del termoclino poiché è importante aggiungere che nel Mediterraneo si forma un termoclino stagionale tra 25 e 40 metri di profondità. Stagionale significa che questo termoclino esiste solo da luglio a settembre, poi scompare d’inverno, quando la turbolenza delle acque tempestose e altre cause distruggono questo equilibrio.
Il termoclino stagionale del Mediterraneo è essenziale per i fenomeni biologici, poiché l’abbassamento drastico di 10 gradi centigradi di temperatura in pochi metri fa aumentare la densità dell’acqua, con la formazione di uno strato perfettamente delimitato, il picnoclino, dove si arresta la discesa dei nutrienti: questi, infatti, arrivano al picnoclino e qui si fermano, senza progredire ulteriormente verso il fondo, poiché l’aumentata densità dell’acqua crea un assetto idrostatico positivo.
Abbiamo, citato, quindi, un altro dei parametri fisici dell’acqua di mare, la densità, che può essere definita proprio come il peso specifico dell’acqua (la densità si misura in grammi per centimetro cubo: g/cm3). In sintesi, gli strati d’acqua di mare possono essere più o meno densi e la densità, a sua volta, dipende essenzialmente dalla salinità e dalla temperatura: diminuisce con l’aumentare della temperatura e aumenta con l’aumentare della salinità. In ogni caso, come abbiamo visto in relazione alla stratificazione dell’acqua e alla conseguente stratificazione dei nutrienti, non è tanto importante la densità di uno strato d’acqua bensì la differenza di densità tra vari strati d’acqua per gli effetti che essa può comportare. Per gli studi di biologia e di oceanografia si costruiscono i diagrammi T-S, grafici in funzione dei valori di salinità e temperatura di campioni d’acqua in esame, con l’individuazione di linee di uguale densità, dette isopicne.
La densità, come abbiamo detto, è direttamente proporzionale alla salinità: ciò significa che all’aumentare della salinità aumenta anche la densità di un campione d’acqua.
La salinità, come si intuisce facilmente, è la quantità di sali contenuta in un certo volume d’acqua: si misura, infatti, in grammi di sale per chilogrammo d’acqua e, correntemente, si esprime in “per mille”. Dal 1978, la salinità si misura in Pss78, dove Pss è l’acronimo di “Pratical Salinity Scale”. La misurazione in Pss è il rapporto tra la conducibilità elettrica del campione d’acqua in esame e la conducibilità elettrica nota di uno standard a 15°C di temperatura, usato come unità di misura. La salinità, quindi, secondo il Pss78, essendo un rapporto, è un numero e si esprime come tale: ad esempio, la salinità del Mediterraneo è di circa 38, quella del Mar Rosso più di 40. Poi ci sono i cosiddetti “mari diluiti”, con salinità minima, come il Golfo di Botnia, che ha salinità 2.
Come accade per la temperatura, anche in merito alla salinità si possono osservare dei mutamenti drastici di valori a certe profondità, che prendono il nome di aloclini. Anche il Mediterraneo presenta differenze di salinità in funzione delle varie zone. Ovviamente, in prossimità della costa la salinità è più bassa poiché le acque marine vengono diluite dagli scarichi d’acqua dolce provenienti dalla terraferma (centri urbani, campagne, industrie, fiumi ecc.). Come abbiamo detto, la salinità media del Mediterraneo è circa 38.2, con un’oscillazione da 37.7 a 38.5. Questi sono i valori in superficie, che cambiano procedendo verso il fondo. In particolare, diminuisce il range, che si contrae verso i 1400 metri su un valore costante intorno a 39: in profondità, infatti, l’acqua di mare è più salata rispetto agli strati superficiali, quindi è anche più densa e non solo perché più salata, ma anche perché più fredda. Non dimentichiamo, infatti, che gli strati d’acqua più densi sono più pesanti di quelli meno densi e si trovano verso il fondo (i più leggeri “galleggiano” sopra quelli più pesanti). È un po’ come mettere in uno stesso contenitore olio e acqua: l’olio, più leggero, sta sopra e l’acqua sotto.
Dopo avere osservato a grandi linee com’è organizzata la colonna d’acqua del mare, ritorniamo alla luce del sole che arriva sul nostro pianeta. Diciamo subito che essa viene impiegata in queste proporzioni: il 42% riscalda la superficie terrestre, il 23% è impiegato dalla evaporazione dell’acqua, l’1% è preposto alla formazione dei venti e lo 0.023% viene sfruttato dal processo della fotosintesi clorofilliana. Viene spontaneo considerare che la fotosintesi, uno dei più grandi fenomeni naturali del nostro pianeta, che in un anno produce circa 750 miliardi di tonnellate di glucosio, impiega una percentuale di energia abbastanza esigua. Ciò significa due cose: la quantità di energia emanata dal sole è immensa e i sistemi fotosintetizzanti degli organismi preposti alla trasformazione dell’energia luminosa in energia chimica sono talmente funzionali e “ben fatti” da necessitare di poco carburante.
Dopo i primi 50 centimetri di profondità la radiazione incidente della luce solare si riduce più o meno del 50% e a 100-150 metri (dipende dal livello di trasparenza dell’acqua) ne giunge solo l’1%. In base alla penetrazione della luce, la colonna d’acqua si divide in tre zone: la zona eufotica, dove la luce arriva almeno con l’1% dell’irradianza, la zona disfotica, con un’irradianza di meno dell’1%, e la zona afotica, dove non giunge nemmeno la più piccola quantità di luce.
La diminuzione della quantità di luce sott’acqua avviene a causa di due fenomeni: l’assorbimento e la diffusione. L’assorbimento è la trasformazione dell’energia luminosa in energia termica e in energia chimica da parte del fitoplancton, la diffusione è la deviazione dei fotoni per riflessione da parte delle particelle solide (organiche e inorganiche) presenti sott’acqua. Quanto più sono grandi queste particelle, tanto più forte è la diffusione. Una grande quantità di particelle, invece, influenza sia l’assorbimento sia la diffusione.
Ovviamente, la zona eufotica è il regno del fitoplancton, che necessita di luce per effettuare la fotosintesi. Più in profondità, nella zona disfotica, il fitoplancton è assente, proprio perché, per quanto riguarda gli organismi autotrofi, “senza luce non si mangia!”
Per gli addetti ai lavori aggiungiamo che la riduzione di luce in funzione della profondità è espressa dalla seguente equazione: Ez= E0e-Kz dove Ez è l’irradianza a z metri di profondità, E0 è la radiazione incidente in superficie, K è il coefficiente di estinzione verticale espresso in m-1, e è la base dei logaritmi naturali (2,71828... numero di Nepero).
Tutto questo e tanto, tanto altro ancora avviene nel pianeta acqua e tutto ciò è il meccanismo immenso che a ragion veduta possiamo definire la grande macchina del mare.