L’insediamento villanoviano del Gran Carro nel lago di Bolsena – Parte 2

L'insediamento villanoviano del Gran Carro nel lago di Bolsena - Parte 2

Molto interessante è stato in particolare un rinvenimento che ha emozionato i ricercatori; riguarda una statuetta in bronzo, di attribuzione nuragica, che testimonia possibili scambi commerciali persino con la lontanissima Sardegna. E’ la prova che in questa zona arrivavano mercanti dalla costa tirrenica, a loro volta raggiunti da naviganti che affrontavano grandissime distanze in mare aperto, con imbarcazioni ancora non particolarmente evolute, in un'epoca ipotizzabile al Bronzo finale, tra il XII e il IX sec. a.C..

Gran Carro_006

Foto Marco Cesare Regno

I ricercatori hanno trovato un reperto particolarmente interessante: un bronzetto di attribuzione nuragica, che dimostra l’esistenza di scambi commerciali con mercanti della vicina costa tirrenica, a sua volta frequentata sicuramente da navigatori provenienti da varie parti del Mediterraneo, tra cui probabilmente anche la Sardegna, oltretutto in un epoca in cui i sistemi di navigazione non erano ancora particolarmente evoluti.

Altro ritrovamento che ha aggiunto un nuovo tassello alla conoscenza delle abitudini di questo popolo, e che pone anche qualche interessante interrogativo, è costituito dai resti botanici del fungo Daedaleopsis tricolor, trovato anche in grande quantità in un altro villaggio sommerso, di epoca neolitica, denominato La Marmotta, nel lago di Bracciano. Questa specie fungina sembra venisse utilizzata per la sua proprietà di alterare i parametri fisiologici e comportamentali di chi ingerisce il suo estratto acquoso, quindi con l'effetto di una vera e propria sostanza stupefacente, che potrebbe avere avuto un ruolo rituale.

Gran Carro_036

Nel sito sono stati ritrovati resti del fungo Daedaleopsis tricolor, il cui estratto acquoso ha la proprietà di alterare i parametri comportamentali di chi lo ingerisce, agendo quindi come una vera e propria sostanza stupefacente. L'uso potrebbe aver avuto un ruolo rituale.

Tutte queste scoperte riguardano l’area descritta di circa 800 mq., dove sono state rinvenute le strutture lignee del villaggio. Per gli archeologi rimaneva però ancora da risolvere il mistero del poco comprensibile cumulo di pietre, denominato l'Aiola, di forma pressoché ellittica, e sicuramente artificiale: un vero e proprio enigma. Così nel 2021 il gruppo di lavoro della dottoressa Barbaro decise di approfondire l’indagine, scavando una trincea di tre metri di larghezza per quindici di lunghezza, partendo dalla parte esterna del lato nord, verso il centro. Il risultato è stato quanto mai proficuo, e le verità che sono emerse dalle nebbie del tempo, anche con l'ausilio di studiosi di geologia e vulcanologia, non lasciano dubbi sull'attribuzione del sito ad un'area sacra sorta attorno ad una fonte naturale di acque solfuree, probabilmente ritenute salutari.

L'Aiola - foto Egidio Severi

Foto Egidio Severi

Da quanto emerso dal sondaggio e dai numerosi reperti ritrovati, si è dedotto che il luogo veniva utilizzato per cerimonie religiose con deposizione di offerte votive e con la probabile consumazione di pasti sacri. Infatti in numerose olle e ciotole in impasto ceramico, ma anche in contenitori di natura organica, come cesti di fibre vegetali intrecciate, sono stati ritrovati resti faunistici, oltre a semi di granaglie e cereali, che i sedimenti del fondo lacustre hanno custodito nel tempo. Tutti questi materiali presentano evidenti segni di combustione, probabilmente dovuta ad un fuoco rituale a cui venivano sottoposte tali offerte votive durante le cerimonie. Successivamente i resti ormai bruciati di queste deposizioni venivano accuratamente ricoperti da pietre, quindi sepolti, evidentemente perché le ceneri di tali offerte non dovevano andare disperse. Ecco quindi spiegata la formazione artificiale del cumulo dell'Aiola, costituita da una stratificazione di materiale rituale e pietre di copertura, avvenuta per secoli. L'aspetto stupefacente è che negli strati superficiali e quindi molto più recenti, di quest'area antichissima, sono stati ritrovati anche oggetti votivi di epoca romana, come monili, anelli, coltelli e monete, addirittura tardoimperiali, del III e del IV sec. d.C.. Tali prove archeologiche testimoniano che per oltre 1500 anni e con continuità, al sito dell'Aiola gli antichi attribuivano un grande valore sacro. Oltretutto, nelle epoche più antiche, l'insediamento è stato distrutto dal fuoco per ben cinque volte, come archeologicamente documentato, e ogni volta è stato puntualmente ricostruito.

Quest'aspetto induce anche a considerare, tra le possibili ipotesi, che la nascita e il permanere del villaggio in questa specifica area per un così grande lasso di tempo, sia non solo da ricondurre alla sicuramente felice posizione strategica per gli scambi commerciali e le attività produttive, ma probabilmente anche alla riconosciuta sacralità del luogo.

I notevoli risultati raggiunti in questi ultimi anni hanno notevolmente alimentato la passione e l'entusiasmo dei ricercatori, che ora programmano di allargare le ricerche su un'area più vasta, tutt'attorno al cantiere originale, che dai primi sondaggi si è rivelata molto promettente.

La dottoressa Barbaro ha anche sempre ritenuto che quanto emerge dal lavoro sul Gran Carro, già disponibile per università, studenti e studiosi di varie nazionalità, che periodicamente visitano il cantiere, debba essere il più possibile divulgabile anche al grande pubblico, affiancando alle tradizionali attività di musealizzazione, esperienze dirette di visualizzazione del sito, come avvenuto nell'estate scorsa con tre aperture straordinarie guidate, che hanno riscontrato un grande successo. Dopo una presentazione tenuta dalla stessa dottoressa Barbaro, i componenti dell'equipe di lavoro hanno poi accompagnato direttamente in acqua molti visitatori apneisti, divisi in gruppi, che hanno potuto visionare una buona parte del cantiere aperto, con alcuni pali liberati dallo scavo, e numerosi reperti ceramici e in terracotta lasciati in situ. Una visita è stata organizzata anche di notte con l'effetto particolarmente suggestivo dell'illuminazione del fondale con torce subacquee tenute dagli accompagnatori.

Tale successo ha indotto anche a pensare la realizzazione di una struttura fissa, comunque al momento attuale in fase solo progettuale, costituita da un percorso con illuminazione subacquea, fruibile anche dalla superficie con un adeguato mezzo nautico di osservazione, per offrire, anche a chi non si immerge, la possibilità di vivere l'emozione di osservare in notturna un sito archeologico sommerso.

Aspetti tecnici

L'equipe della Dottoressa Barbaro oggi dispone di una struttura adeguatamente attrezzata e costituita da una base operativa recintata sulla riva del lago di Bolsena, immediatamente prospiciente l'area archeologica sommersa, dotata di alcuni locali per il deposito di attrezzature subacquee e tecniche inerenti il cantiere di scavo, di un compressore, di diverse bombole, di uno spogliatoio per gli operatori, di una saletta riunioni, di una piccola cucina e di tavoli di lavoro all'esterno, oltre ad un'imbarcazione.

A svolgere tutte le operazioni di ricerca si alternano in genere due squadre, costituite ognuna da tre coppie di subacquei, quindi da sei persone per squadra, che lavorano contemporaneamente per circa due ore e mezza.

Oltre alla dottoressa Barbaro, sempre presente e instancabile, il gruppo fisso degli operatori è costituito dai membri del Servizio di Archeologia Subacquea di cui fanno parte l'assistente tecnico della Soprintendenza Egidio Severi, che si occupa dei rilievi e della fotogrammetria e dagli ispettori onorari del MiC per l'archeologia subacquea, Massimo Lozzi e Amedeo Raggi; sempre presente dal 2020 l'Associazione no profit CRAS Centro Ricerche Archeologia Subacquea Aps, tra cui soci: l'archeologa subacquea dottoressa Giuditta Gatteschi, l'archeologo subacqueo dottor Paolo Cremisini, l'archeologa subacquea dottoressa Brenda Noto, e gli operatori subacquei, Stefania Di Blasi e Stefania Pollini. A questi componenti fissi si aggiungono periodicamente altri archeologi, restauratori subacquei, studenti e anche studiosi di altre discipline scientifiche di aiuto all'archeologia, come i geologi e i paleobotanici. In particolare, delle analisi dendrocronologiche sui resti lignei se ne occupa la professoressa Manuela Romagnoli del DIBAF dell'Università della Tuscia di Viterbo; lo studio dei resti paleobotanici e palinologici è curato dalla professoressa Donatella Magri del Dipartimento di Biologia Ambientale dell’Università di Roma Sapienza; lo studio sullo stato di degrado dei resti lignei e relativo restauro è affidato all’Istituto Centrale per il Restauro del MiC, e le analisi sui resti faunistici vengono effettuate presso l'Università del Salento.

Gran Carro_008
Gran Carro_009

La dottoressa Barbara Barbaro si appresta ad immergersi assieme alla sua squadra per un turno di lavoro, che dura circa due ore. La ridotta distanza dell'area archeologica dalla costa consente di iniziare l'immersione partendo direttamente dalla riva.

Poi nei periodi di maggior concentrazione delle campagne di scavo, come avvenuto nell'estate 2023, quando durante i lavori molti reperti apparivano a vista nella area sommersa, potendo quindi essere oggetto di trafugamenti, specie di notte, vista anche la bassa profondità e la vicinanza dalla riva, il Nucleo Sommozzatori del Reparto Operativo Aereonavale di Civitavecchia della Guardia di Finanza è intervenuto a svolgere un'attività di controllo e tutela del sito, ma anche di collaborazione con gli archeologi nell'attività di ricerca.

Gran Carro_026

Foto Umberto Natoli

Durante alcune campagne di scavo, in cui per diversi giorni erano affioranti dai sedimenti e ben visibili numerosi reperti, è stato presente il Nucleo sommozzatori della Stazione Navale di Civitavecchia della Guardia di Finanza per tutelare l'area archeologica da eventuali visite di subacquei clandestini in cerca di souvenir, ma anche per affiancare gli archeologi nel lavoro di ricerca.

Successivamente alle operazioni svolte nel cantiere subacqueo, vengono effettuati importanti interventi di superficie nella base operativa a terra. In particolare, durante le campagne di scavo, è presente anche una squadra di restauratori che procedono alle prime operazioni di pulizia e di conservazione dei reperti recuperati.

Gran Carro_029
Gran Carro_030

Durante le campagne di scavo è sempre presente nella base operativa a terra, un squadra di restauratori, che procede ai primi interventi di pulizia e di conservazione dei reperti.

A qualificare ancora di più le ricerche negli ultimi anni è stata di grande aiuto la tecnologia che ha consentito di mappare con grande precisione il sito in tutta la sua estensione attraverso l'utilizzo di droni e delle relative applicazioni di software fotogrammetrici. E' stato così possibile ottenere ricostruzioni di modelli in 2D e tridimensionali in 3D del fondale e dei reperti più grandi.

Gran Carro_027
Gran Carro_028

Attraverso l'utilizzo di software fotogrammetrici, è stato possibile procedere a ricostruzioni in 2D e 3D di specifiche aree di fondale.

Ma nonostante l'impiego di strumenti e di tecniche di ricerca molto avanzate, il vero successo di questa bellissima avventura archeologica, è dovuto principalmente alla passione e alle qualità professionali e umane di tutta l'instancabile equipe della dottoressa Barbaro, il cui impegno ci svelerà sicuramente, nei prossimi anni, la meraviglia di altri segreti e di altre conoscenze su questo popolo lontanissimo e affascinante.

Gran Carro_034

Alla fine di un'impegnativa giornata di immersioni e di lavoro, le squadre di archeologi e tecnici si concedono un meritato momento conviviale, per una semplice, ma appetitosa spaghettata.

Bibliografia essenziale
Barbaro 2021: B. Barbaro L’abitato protostorico del «Gran Carro» di Bolsena: un complesso insediativo e cultuale di lunga durata sulle rive del lago. Rapporto preliminare sulle indagini 2020-2021, in Archaeologia Maritima Mediterranea 18, 2021, pp. 13-34.
Barbaro - Severi 2020: B. Barbaro, E. Severi, L’abitato sommerso della prima età del Ferro del “Gran Carro” di Bolsena: verso una nuova prospettiva, «Analysis Archaeologica 2018» 4 (2020), pp. 25-51, 293-298.
Tamburini 1995: P. Tamburini, Un abitato villanoviano perilacustre. Il "Gran Carro" sul Lago di Bolsena (1959-1985), Archaeologica 113, Tyrrhenica 5 (Roma 1995).
Fioravanti – Camerini 1977: A. Fioravanti – E. Camerini, L'abitato villanoviano del Gran Carro sommerso nel Lago di Bolsena (1959-1977) (Roma 1977).

Condividi: