Lavorare sotto pressione

Lavorare ‘sotto pressione’ è quello che letteralmente fa ogni medico iperbarico od ogni operatore tecnico subacqueo, sanitario o meno che sia; non mi riferisco solo alla pressione esercitata dagli obbiettivi o scadenze da ottemperare sul lavoratore, o ad altre pressioni di tipo esterno, ma proprio ad un più semplice e diretto aumento della pressione atmosferica, quale quello che si realizza all’interno di quell’ambiente straordinario (ovvero ‘speciale’, ‘al di fuori dell’ordinario’, ‘non comune’) che è la camera iperbarica o l’ambiente subacqueo.

È una particolare attenzione alla pressione che ricorre nel motto scelto dal Centro Iperbarico di Randwick, Sydney (AUS) (“sanare premendo”): a sottolineare l’aspetto terapeutico, curativo, dell’aumentata biodisponibilità plasmatica di Ossigeno (O2), che avviene proprio grazie all’incremento della pressione atmosferica che si ottiene all’interno della camera iperbarica.

Solitamente ci si riferisce al monossido di carbonio (CO) (e, come sapete, l’intossicazione da CO costituisce una indicazione ormai acclarata al trattamento in camera iperbarica) come ad un ‘killer silenzioso’, per le modalità subdole con le quali può presentarsi. Non è certo meno ‘killer silenzioso’ del monossido l’ipertensione arteriosa, che altrettanto subdolamente – quando non controllata, nel tempo riesce a mietere molte vittime. Riesce a mantenersi asintomatica o paucisintomatica (silente o quasi) per molto tempo, sino a dar magari cenno di sé con eventi clinici maggiori, e definitivi, quali lo stroke o l’infarto.

Ma che succede se la nostra pressione sanguigna non fosse in ordine e dovessimo sottoporci a dei trattamenti in camera iperbarica? Se i valori non si discostano di molto dalla norma generalmente non accade nulla, e solo la pressione diastolica (o ‘minima’, cioè il valore inferiore) è, dei due valori pressori, quello che forse potrebbe risentirne un po’.

Meglio quindi assumere comunque con la necessaria regolarità tutta la terapia prescritta, risparmierà di certo da disagi  o disturbi maggiori, indipendentemente che ci si trovi dentro o fuori da una camera iperbarica.

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Qualche confusione invece sta recentemente affacciandosi sul come, ma soprattutto sul quando, si debba correggere la pressione sanguigna.
La stanno generando due diverse scuole di pensiero, tra loro significativamente contrapposte.
La prima (l’American Heart Association, AHA) è al momento quella che personalmente preferisco: più conservativa, ritiene che una pressione non sia ben controllata quando superiore a 140/90 mmHg, sino agli 80 aa, o maggiore di 150/90 per gli over 80; dei valori diversi devono essere sempre corretti: dapprima ricorrendo a dei cambiamenti nello stile di vita, od a farmaci se persistessero ancora alterati].
La seconda ‘scuola’, richiamandosi a delle evidenze mediche diverse, propone d’addottare un trattamento più ‘rilassato’ e meno aggressivo dell’ipertensione, correggendone i valori maggiori di 140/90 mmHg solo fino ai 60 aa, o superiori a 150/90 dai 60 anni in su. Non è a mio avviso da dimenticare una netta indicazione posta dal Dr. Elliott Antman, Presidente dell’American Heart Association, il quale ricorda che le diverse ‘nuove’ raccomandazioni potrebbero esporre un ancora maggior numero di persone ai seri problemi di salute causati dall’ipertensione.

Quale il “Take-home-message” allora (il suggerimento da portare con sé, a casa)?: mi rifaccio ai suggerimenti che l’Harvard Medical School già proponeva nel 2013, ovvero poco dopo l’uscita di nuove LineeGuida e prima di altri lavori su cui ancor oggi si dibatte. Pur riconoscendo che la revisione di Linee Guida sulla gestione dell’ipertensione sia sempre una bella sfida per gli esperti del settore, invitava a non cambiarne i fondamentali.
Il trattamento richiederebbe pertanto ancora di

  1.  tenere controllata la propria pressione,
  2. considerare che è ipertensione una lettura superiore a 140/90 mmHg,
  3. ritenere importanti i cambiamenti nello stile di vita,
  4. adeguare i farmaci alle necessità del singolo paziente (in alcuni pz. più fragili potrebbe essere più importante ridurne il rischio di caduta, come si potrebbe avere per una improvvisa ipotensione, mantenendo quindi, con meno farmaci, dei valori pressori un po’ più alti della ‘norma’).

Qualche volta aiuta di più del ‘buon senso’ che della ‘alta medicina’.

 

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