Il Cono: conchiglia bella e mollusco a volte letale

Cari amici subacquei, dopo l’articolo sul polpo dagli anelli blu, prosegue il cammino verso la conoscenza degli animali marini pericolosi per l’uomo, con un articolo di un caro amico esperto e collezionista di coni Marco Bettocchi.

“Conoscere per prevenire”.

Grazie Marco e buona lettura a tutti.

Francesco Fontana

Il Cono: conchiglia bella e mollusco a volte letale.    

di Marco Bettocchi
Collaboratore del Museo Malacologico MALAKOS di Città di Castello (Perugia)

Accolgo con molto piacere l’invito rivoltomi dal dr. Francesco Fontana, che mi onora della sua amicizia, per scrivere una volta ancora su uno dei gasteropodi marini più affascinanti di tutto il Mondo Sommerso. Sono ormai trentacinque anni che colleziono e studio le specie di questa famiglia e negli ultimi anni ho concentrato le mie ricerche in un’area ristretta dell’Oceano Atlantico Orientale: le isole dell’arcipelago di Capo Verde. Ma in questa sede eviterò di entrare nella tassonomia specifica della famiglia Conidae e mi limiterò a scrivere in generale sulla conchiglia Cono, dove vive, cosa mangia e come se lo procura. E perché sarebbe meglio che l’uomo evitasse di venire a contatto con esso, soprattutto se ignaro di quello che potrebbe accadergli.

La famiglia Conidae è composta da circa 1500 fra specie, sottospecie e forme. Volendo aggiungere anche le varietà ci si avvicina a 2000. Questo è il risultato di una evoluzione che è iniziata nell’ Eocene Inferiore (circa 55 milioni di anni fa) di Francia e Inghilterra.
La quasi totalità delle specie viventi si può trovare nelle acque tropicali dell’Atlantico e dell’Indo Pacifico, anche se alcune di esse vivono nelle aree immediatamente adiacenti dove le acque sono ancora temperate, prevalentemente ad una profondità variabile fra la zona interessata dalle maree e i 50 metri. Un numero minore si può incontrare fino ai 200 metri, mentre alcune specie si spingono fino a 600-700 metri con un paio di esse che passano i 1000.

Il loro habitat preferito è la sabbia, fine o grossolana, a volte mescolata con detrito o fango, ma si conoscono specie che vivono anche nei crepacci delle rocce, con o senza vegetazione. In ogni caso prediligono le aree riparate dove l’acqua è più calma, anche se con qualche eccezione. Le loro abitudini sono prevalentemente notturne. Di giorno si infossano nella sabbia o si nascondono sotto pietre e nella parte bassa delle rocce. Di notte escono per cacciare le loro prede che sono divisibili in tre categorie : vermi, altri molluschi, pesci. Quasi tutte hanno abitudini alimentari monotipiche, ma alcune nello stadio giovanile si cibano di vermi e poi, una volta diventate adulte, diventano piscivore.
I Coni sono fra i gasteropodi marini predatori più altamente evoluti. Alla loro Superfamiglia di appartenenza, Conoidea (detta anche Conacea o Toxoglossa) appartengono anche i Turridi e le Terebre.

 

La loro anatomia esterna comprende un largo piede per lo scivolamento che, in quasi tutte le specie, supporta un piccolo opercolo corneo; due piccole antenne con gli occhi, un sifone che serve per portare acqua alla branchia e il rostro (o guaina della proboscide) che può essere molto piccolo oppure grande ed avere un margine con lunghe frange, soprattutto nei grandi piscivori.  Sulla parte destra si trova poi, nei maschi, il pene che contiene il condotto spermatico, e nelle femmine un foro, a volte con un orlo rialzato. Di norma, le femmine hanno una conchiglia di dimensione maggiore perché devono contenere le capsule ovigere al loro interno prima della deposizione.

Molte specie hanno lo stadio di veliger con le larve libere di essere trasportate dalle correnti marine in località diverse. Altre, invece, al momento dell’apertura delle capsule lasciano cadere delle piccolissime conchiglie che costituiranno la protoconca della conchiglia adulta. Dell’anatomia interna del mollusco quello di cui mi interessa parlare è tutto l’apparato che riguarda il sistema radulare, vale a dire quello che permette al Cono di procurarsi il cibo ma, nel contempo, di potere diventare pericoloso anche per i mammiferi, umani compresi. Questo sistema è abbastanza complesso ed è formato da tre parti base : un grande bulbo velenifero trasversale, un condotto velenifero lungo e molto contorto e il sacco radulare che contiene i denti radulari.  Il bulbo non produce il veleno, che viene invece prodotto da una vescica detta ghiandola di Leiblin, ma serve come aiuto per spingere il veleno lungo il condotto fino ai denti. Esso ha la forma simile a quella di un rene ed è la parte di dimensione maggiore del sistema radulare.

Il condotto è di natura granulosa e collega il bulbo con il sacco radulare. Quest’ultimo, che è attaccato allo stomaco e si trova alla base della proboscide sul lato sinistro del corpo, varia in forma e dimensione da specie a specie e consiste di due differenti bracci :  quello “di riserva” nel quale si formano i denti e quello “pronto” che contiene solo pochi denti completamente sviluppati. Inoltre, un dente è sempre presente dentro la proboscide ed è pronto per un uso immediato. I denti sono di tre categorie principali direttamente collegate alla tipologia del cibo : vermivoro, molluscivoro, piscivoro. Essi, anche pur avendo una struttura base che li accomuna, presentano alcune caratteristiche peculiari che li differenziano da specie a specie e forniscono, assieme allo studio del DNA e all’analisi della covarianza  (ANCOVA), la possibilità di determinare con una buona percentuale di certezza, l’appartenenza di un esemplare ad una determinata specie.

I denti vermivori sono probabilmente il tipo più comune; di solito sono relativamente corti e larghi e non hanno uncini molto sviluppati sulla punta; le loro seghettature sono spesso molto evidenti e la loro caratteristica peculiare è una grande cuspide basale sul lato sinistro che sporge di molto dall’asta ed ha lo scopo di far rimanere il dente nella proboscide anche dopo la puntura del Cono. Questo permette al mollusco di non perdere il contatto con il verme nel caso esso si rintanasse in un buco. I denti molluscivori hanno molte seghettature sopra la maggior parte dell’asta, sono abbastanza slanciati ed hanno un uncino alla fine dell’asta e alla fine delle seghettature. Alcuni di essi appartengono a specie abbastanza pericolose per l’uomo, anche se portano un veleno che non risulta essere mortale. Per ultimo, i denti piscivori sono di solito allungati ed hanno degli uncini terminali lunghi e ricurvi ed hanno un’asta lunga e liscia. Alcuni di essi portano un veleno pericoloso anche per gli umani.

A proposito del veleno, si può dire che è di colore giallastro o biancastro, è abbastanza granuloso e viscoso ed ha un pH alcalino di 7,8-8,1. È relativamente immune sia al riscaldamento che al congelamento e resta altamente tossico anche dopo diversi trattamenti. La chimica del veleno è ancora poco conosciuta e molto complessa. È noto che il suo effetto dipende dalla combinazione di diverse conotossine : le M-conotossime che modificano i canali del sodio nelle cellule muscolari; le W-conotossine che impediscono l’ingresso del calcio nelle terminazioni nervose, inibendo il rilascio dell’acetilcolina; le A-conotossine che fermano i recettori nicotinici dell’acetilcolina. Si è anche scoperto che l’inibizione dei recettori nervosi è provocata dall’azione di due diversi tipi di peptidi, le conantochine e le omega-conotossine.

Da quanto detto finora si è capito che i Coni paralizzano le loro prede colpendole con uno dei denti sopra descritti e iniettando quindi il veleno che le paralizza e poi le uccide. E questo è quello che si è sempre saputo fino a pochissimi anni fa. Ma studi redenti condotti dalla professoressa Helena Safavi-Hemami e dai suoi colleghi dell’Università dello Utah di Salt Lake City hanno permesso di venire a conoscenza di un secondo modo di catturare le prede che sarebbe utilizzato da Gastridium geographum e da Gastridium tulipa. In pratica, i due Coni spruzzano dalla loro proboscide un composto chimico che comprende diverse tossine e soprattutto insulina. Le prede vengono stordite, dato che troppa insulina nel loro corpo fa diminuire il glucosio e crea seri problemi al cervello e al sistema nervoso, e rallentano i loro movimenti rendendo più facile la loro cattura.

Allargando il discorso, vediamo cosa potrebbe accadere nel malaugurato caso che un mammifero, e quindi anche un essere umano, venga punto da un Cono. La puntura causa un rigonfiamento immediato e localizzato, seguito subito da arrossamento e intorpidimento della parte colpita. Il veleno, entrando in circolo, blocca gradualmente l’azione nervosa in tutte le estremità, causando intorpidimento, formicolio, vomito e a volte dolore acuto. Ben presto viene raggiunto il diaframma e cominciano le difficoltà respiratorie, dal momento che i polmoni diventano poco attivi e incapaci di contrarsi ed espandersi per una corretta respirazione. Questi sintomi sono seguiti da fortissimi capogiri, incapacità di mettere a fuoco la vista, difficoltà nel deglutire e nel parlare. Nei casi estremi può sopravvenire la morte per arresto cardiaco.

Nei casi in cui la puntura sia stata causata da un Cono molto pericoloso o potenzialmente mortale, il paziente deve essere trasportato in un centro di soccorso nel più breve tempo possibile. I soccorsi immediati consistono nel cercare di tranquillizzare e di mettere l’infortunato in posizione supina ed immobile, se possibile  togliere il dente radulare e  fare sanguinare la ferita incidendo con un coltello. Quando possibile, nell’immergere la ferita in acqua calda, non bollente per cercare di disattivare alcune proteine del veleno. Nel caso di difficoltà   cardio- respiratoria occorre mantenere le funzioni vitali mediante le manovre BLS.   Una cosa da non fare assolutamente è somministrare morfina o suoi derivati che sono pericolosi perché determinano depressione dell’apparato respiratorio. Inoltre, non applicare mai un laccio emostatico.

Dal momento che ai giorni nostri non è ancora disponibile alcun antidoto nei confronti del veleno dei Coni, una volta che il paziente sia giunto nel presidio medico, il primo indispensabile trattamento è per l’insufficienza respiratoria e per i problemi cardiovascolari.

Adesso analizziamo un po’ da vicino questi molluschi mortali. In linea di massima si può dire che tutti i Coni siano pericolosi, dato che tutti hanno un veleno in grado di provocare rigonfiamenti e dolore. Per fortuna, la maggior parte di essi sono di dimensioni ridotte e si cibano di vermi e quindi la loro puntura provoca nell’uomo conseguenze abbastanza trascurabili, simili a quelle provocate dalla puntura di una vespa.

Il vero problema è dato dai grandi piscivori e dai pochi molluscivori conosciuti come molto pericolosi. Specie quali Gastridium geographum e Pionoconus striatus possono raggiungere una dimensione di 140-150 mm., hanno delle proboscidi lunghe e molto estensibili e i loro denti radulari sono lunghi 20 mm. e possono forare anche un tessuto leggero. Queste due specie sono molto pericolose sia in acqua che al di fuori di essa e la loro puntura è già stata causa di parecchi decessi dovuti alla troppa leggerezza con cui sono state “maneggiate”.

Anche Gastridium tulipa e Protostrioconus obscurus hanno provocato alcuni decessi fra gli umani, anche se in numero minore. Resta il fatto che tutti i piscivori possono arrecare seri danni e, quindi, specie quali Pionoconus magus, Pionoconus monachus, Pionoconus catus e Textilia stercusmuscarum devono sempre essere considerate come molto pericolose. Inoltre, è ancora materia di discussione se il veleno dei molluscivori possa essere pericoloso per l’uomo oppure no. Al contrario di quello che si sente dire, ci sono ancora dei dubbi sul fatto che le punture di Cylinder textile, una grande specie molto comune in tutto l’Indo Pacifico, abbiano provocato la morte di qualche essere umano. Test di laboratorio sul veleno di questa specie e sul veleno di Darioconus aulicus e di Conus marmoreus non hanno provocato la morte delle cavie. Fortunatamente, queste non sono specie molto aggressive ed il loro disegno a tenda può essere facilmente riconosciuto attraverso il sottile periostraco trasparente, quando sono in acqua. Tutti i Coni con disegno a tenda devono essere considerati potenzialmente pericolosi e devono essere maneggiati con attenzione dentro e fuori l’acqua, soprattutto gli esemplari che superano i 50 mm. di lunghezza. In particolare, Cylinder gloriamaris e specie correlate devono essere considerate pericolose per via della loro grande dimensione che può raggiungere i 170-180 mm. di lunghezza.
Anche alcuni grandi vermivori, fra i quali Lithoconus leopardus, Strategoconus litteratus, Calamiconus quercinus, Rhombiconus imperialis e Dendroconus betulinus possono essere considerati teoricamente pericolosi per via della loro grande dimensione, ma il loro veleno non rappresenta un reale pericolo per i mammiferi.

Per terminare questa parte del discorso, desidero ricordare a tutti una delle tante vecchie regole del mare. Non si deve avere paura di lui, ma bisogna rispettarlo sempre e prendere le debite precauzioni.  Se una cosa non la si sa è meglio non farla. Se una conchiglia non la si conosce è meglio lasciarla dove si trova.

Per ultimo mi sono riservato quello che amo definire “ l’angolo della speranza”, dato che i recenti sviluppi della ricerca medica hanno portato ad ottenere qualche risultato che apre il campo ad ulteriori passi in avanti. Gli scienziati, anzi i neuro scienziati, sono molto interessati alle caratteristiche dei veleni dei Coni. È giusto usare il plurale, in quanto ogni specie di Cono è dotata di due tipi di tossina la cui composizione è variabile da specie a specie. Queste conotossine hanno aspetti molto interessanti nel campo terapeutico. Gli esperimenti fatti fino ad ora in laboratorio hanno dato risultati promettenti : è stato evidenziato che dei numerosissimi composti di peptidi (fra i 70 mila e i 140 mila) alcuni sarebbero in grado di sostituire la morfina e servire nella cura dell’Aids e del cancro, mentre altri potrebbero essere utili nei casi di emorragie cerebrali, morbo di Parkinson e Alzheimer, incontinenza urinaria e aritmia cardiaca.

Nello specifico, dal veleno di Pionoconus magus si è potuto estrarre l’analgesico Ziconotide, anche se purtroppo il suo funzionamento può essere compromesso dagli enzimi della saliva, per cui questo farmaco non può essere assunto per via orale ma deve essere somministrato chirurgicamente. Questo limite è però stato superato dal prof. David Craik e dal suo team dell’Università del Queensland che sono stati in grado di produrre una versione sintetica della conotossina che resiste agli enzimi del corpo umano e che, anche se assunta nelle dosi molto limitate consigliate, è in grado di ridurre il dolore in modo molto più veloce.

Uno studio molto approfondito è stato fatto sul veleno di Pionoconus consors da una equipe di ricercatori di Ginevra in collaborazione con un team di medici francesi del Centro Nazionale per la Ricerca Scientifica. Questo studio ha permesso di scoprire una molecola molto promettente per la ricerca medica : la XEP-018, un composto che dovrà essere sviluppato come antidolorifico  o anestetico.

Anche la conantichina-G di Gastridium geographum è sotto esame perché sembra essere in grado di ridurre gli effetti dei danni ai nervi.

Ricollegandomi a quanto scritto prima sulle ricerche della professoressa Helena Safavi-Hemami su Gastridium geographum e Gastridium tulipa, posso aggiungere che, dopo quella scoperta, la ricerca si è spostata sull’analisi dei geni dei Coni che favoriscono la produzione dell’insulina. Questo studio avrebbe potuto permettere di migliorare il trattamento di malattie quali il diabete, contro il quale è necessaria l’iniezione periodica di insulina al fine di tenere sotto controllo i livelli di glucosio nel sangue. Questi studi ancora più recenti sono stati fatti dal professor Mike Lawrence e dalla sua equipe di ricercatori del Walter and Eliza Hall Institute of Medical Research di Melbourne.  L’obiettivo del loro studio era quello di capire se si poteva estrarre il principio attivo del veleno e utilizzarlo per la cura del diabete. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Nature Structural & Molecular Biology : nel veleno del mollusco c’è una proteina molto efficiente, la Con-Ins G1, che lavora molto più velocemente dell’insulina umana e che è in grado di legarsi ai suoi recettori. Il risultato finale ha dato la possibilità di mettere a punto nuovi farmaci.

 

BIBLIOGRAFIA

Nota sulla Bibliografia
La Bibliografia che ho indicato è da intendersi come molto selezionata, dal momento che è notevolmente più vasta e che sul web possono essere reperiti testi risalenti anche alla fine del 1800.

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