Archeologia – Le navi di Nemi (prima parte)

Archeologia subaquea

Le navi di Nemi dell’imperatore Caligola

di Umberto Natoli
(prima parte)


L’affascinante storia di una grande opera di recupero che
diede inizio all’avventura moderna dell’archeologia subacquea


Le due grandissime navi di epoca romana, databili alla prima metà del I secolo d.C. recuperate nel lago di Nemi e che costituiscono un esempio unico al mondo di architettura navale monumentale, erano riconducibili all’imperatore Caligola, come testimoniato anche da un’iscrizione su una tubatura di piombo che ne riporta il nome abbreviato che per esteso era Gaius Julius Caesar Germanicus.
Caligula infatti era il soprannome legato al tipo di calzature militari che amava sempre portare. Amante dei culti orientali ed in particolare di Iside che affiancò a quello della dea Diana, fece realizzare queste straordinarie imbarcazioni, veri capolavori di ingegneria e di artigianato, con fini cerimoniali e residenziali, e non certo per destinarle alla navigazione data la sproporzione tra l’estensione ridotta del piccolo lago e le grandi dimensioni delle navi, ma anche per le caratteristiche costruttive.
Erano sostanzialmente dei palazzi galleggianti che potevano comunque essere spostati sulla superficie del lago avendo in ogni caso una carena idrodinamica e disponendo anche di dotazioni navali, come timoni, ancore e remi.


Furono realizzate con diversi tipi di legname come pino, abete e quercia e nella parte esterna erano completamente rivestite di una lamina di piombo fissata con chiodi di rame, e tra le lamine e il legno era inserito uno strato impermeabilizzante di feltro di lana imbevuto di pece. Sui vastissimi ponti, estesi per circa 2000 mq. nella prima nave, e per poco più nella seconda e più grande nave, si trovavano preziosi pavimenti di marmo policromo dove dominavano il rosso e il verde, oltre a mosaici e a statue, e ad elementi architettonici di rivestimento e decorativi in bronzo, un impianto termale, tempietti con colonnine in marmo, giardini pensili, un sofisticato sistema idrico che alimentava fontane e probabilmente anche giochi d’acqua e persino un apparato scenico rotante con un meccanismo funzionante con un sistema simile a quello dei moderni cuscinetti a sfera.

Amante dell’acqua e della navigazione, Caligola s’ispirò sicuramente alla tradizione egiziana e poi ellenistica delle navi santuario e cerimoniali e al culto orientale di Iside e di Diana che tanto amava, certamente collegato al sontuoso santuario edificato sulle rive del lago e pure dedicato alle due divinità e alla vicina grande villa che possedeva.

Per il suo carattere divenuto dispotico e sanguinario, Caligola fu ucciso alla giovane età di 29 anni e subito venne proclamata la damnatio memoriae cancellando ogni traccia del suo passato potere. Le navi probabilmente subirono la stessa sorte e furono spogliate dei beni più preziosi e facilmente asportabili e quasi certamente affondate in gran fretta. Ne rimane a testimonianza una barca di circa otto metri stracarica di oggetti, ritrovata accanto alla nave più grande, quasi certamente colata a picco per il carico eccessivo imbarcato in tutta fretta prima dell’affondamento.


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La nave più grande come si presentava dopo il prosciugamento parziale del lago di Nemi.
Gran parte del ponte era stato fortemente manomesso nei maldestri tentativi di recupero perpetrati per secoli.


Un nuovo tassello sull’avventuroso recupero delle navi di Nemi

Una ripida scala di legno scricchiola sotto i miei piedi, mentre salgo al secondo piano di un’ala minore del quattrocentesco Palazzo Venezia, nel cuore di Roma. Sono passato per un’entrata secondaria che si affaccia su Piazza San Marco, proprio difronte al Vittoriano. Mi sto recando presso la sede dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte.
E’ la primavera del 2018 ed è anche l’inizio di una storia affascinante che mi vede coinvolto direttamente, e che riguarda una delle primissime esperienze al mondo di archeologia subacquea.

Mi trovavo lì per organizzare una cena rinascimentale e una conferenza sullo stesso tema, argomento del tutto estraneo al mondo delle attività subacquee. In quell’ambiente dall’atmosfera un po fuori dal tempo, così distante dalla frenetica vita romana che pulsa nelle strade attorno, mi trovai a conversare amabilmente con uno dei ricercatori, Massimo Pomponi, dopo aver esaurito l’argomento del nostro incontro. Gli raccontai che stavo preparando un articolo per una rivista di argomento subacqueo sul recupero delle navi dell’imperatore Caligola affondate nel lago di Nemi. Il mio interlocutore mi guardò con fare perplesso e mi interruppe con un gesto. “Guardi, mi ricordo che proprio alcuni mesi fa durante una ricerca in uno degli scaffali più antichi dell’archivio, mi capitarono tra le mani un paio di faldoni con su scritto, Navi di Nemi” e aggiunse che fino a quel momento di quei due faldoni se ne era perso il ricordo. L’informazione era per me davvero interessante perché mi ricordai che la Dottoressa Nuccia Ghini, archeologa e direttrice per tanti anni del Museo delle Navi di Nemi, nonché esperta studiosa dell’argomento e della figura di Caligola, che alcuni giorni prima avevo contattato telefonicamente per un’intervista, mi aveva riferito che aveva proprio da poco finito di riordinare e fatto informatizzare praticamente tutte le pubblicazioni e gli studi conosciuti sul tema, elencandomeli a voce, e oggi consultabili sul sito del MIBTAC. Di questa documentazione però non me ne aveva mai parlato e dedussi che sicuramente non ne conosceva l’esistenza. Mosso dalla curiosità volli quindi verificarne di persona il contenuto e ne chiesi la consultazione. I faldoni mostravano i segni del tempo e da come si presentavano sembravano non essere stati più aperti da circa 90 anni. Sciolsi con cura i lacci ormai irrigiditi, che cedettero lasciando nell’aria una nuvoletta di polvere, e mi trovai a sfogliare un’affascinante sequenza di fogli dal tipico odore di carta antica, che crepitava sotto le mie mani. Tutto era datato dal 1928 al 1930. Erano bellissime fotografie ingiallite, relazioni tecniche sul possibile intervento di prosciugamento del lago, stralci di giornali d’epoca, opinioni di studiosi su alcuni reperti, ma quelli che trovai veramente affascinanti erano alcuni taccuini con le cronache giornaliere del lavoro degli archeologi accompagnate da minuziosi e bellissimi disegni a matita.


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L'intera parte esterna degli scafi era rivestita di una spessa lamina di piombo fissata con chiodi di rame.
Tra la lamina e il legno era stato inserito un rivestimento in feltro di lana imbevuto di bitume per assicurarne l’impermeabilità.


Il perché quei documenti si trovassero presso quell’archivio fu presto chiarito. In quegli anni il presidente dell’Istituto di Archeologia e Storia dell’Arte era il senatore e archeologo Corrado Ricci, che fu nominato da Benito Mussolini soprintendente al recupero delle navi. Infatti molte riunioni decisionali e tecniche furono tenute proprio presso la sede dell’Istituto a Palazzo Venezia e a cui il Duce partecipava di persona.

Comunicai alla Dottoressa Nuccia Ghini la notizia, che accolse con un certo stupore e capii anche con un più che comprensibile margine di dubbio, anche se non dichiarato; oltretutto non mi aveva mai visto di persona. La invitai quindi a una visita assieme a me presso l’Istituto, chiedendo nuovamente la disponibilità dei fascicoli. All’appuntamento, sotto l’imponente portale di travertino di Palazzo Venezia trovai una distinta signora dai modi cortesi, ma distaccati. Mi scrutava con occhi che percepii essere un po’ diffidenti mentre in silenzio salivamo lo scalone verso l’Istituto.

Era evidente che la storia della possibile esistenza di altri documenti inediti sull’avventura delle navi di Nemi non la convinceva del tutto, e probabilmente non la convinceva nemmeno la qualità della fonte, ossia io, un giornalista, figura professionale che nell’immaginario collettivo, ma soprattutto nell’ambiente degli accademici, è normalmente tacciata di superficialità e pressapochismo.

Come darle torto! Ma ero sicuro del fatto mio, e sorrisi tra me e me su questa riflessione. Tutto si risolse poi non appena Nuccia Ghini sciolse i lacci dei faldoni che le feci trovare. Si trovò tra le mani documenti assolutamente inediti, di cui alcuni molto belli e molto interessanti, e che aprivano una nuova finestra su quella straordinaria esperienza archeologica, per l’epoca assolutamente avveniristica, che diede inizio storicamente all’archeologia subacquea dedicata allo studio dei resti di una nave. Man mano che sfogliava quelle vecchie carte l’espressione seria e riservata della studiosa si aprì in un grande sorriso di stupore, ma anche di gratitudine nei miei confronti.

Ebbi così modo di riprendere i temi dell’intervista nella quale mi riferì più in dettaglio sugli ultimi studi e sulle scoperte scientifiche più aggiornate sulle navi di Nemi, ma anche su alcune recenti circostanze ed eventi collaterali, verificatesi dal 2016 in poi, che hanno catalizzato nuovamente l’attenzione su questo grande tema dell’archeologia, colorandolo di ipotesi più o meno fantasiose, ma anche di un alone di mistero ed esoterismo. Nuccia Ghini me ne parla con un prudente distacco da studiosa, ma dato che un fondo di possibile verità ci sarebbe potuta essere in alcune interpretazioni storiche, se ne dovette occupare direttamente.

Mi riferisco alla tesi portata avanti da un architetto, Giuliano Di Benedetti, che il lago nascondesse una terza, gigantesca nave, e che questa fosse nascosta da un’immensa frana verificatasi in più riprese tra la fine del settecento e i primi dell’ottocento.

In effetti si riferiva alle memorie scritte dell’Ingegnere bolognese Francesco De Marchi che nel 1535 tentò un recupero senza successo. Descrisse minuziosamente uno scafo disteso su un fianco delle impressionanti dimensioni di 170 metri e affondato vicino alla ripidissima linea di costa. A suffragare questo preciso riferimento storico l’arch. Di Benedetti aggiunse antiche tradizioni orali di Genzano e di Nemi giunte fino ai nostri giorni che indicavano i resti di una grande nave sommersa nel punto opposto del lago rispetto a quello delle due navi recuperate, appunto sotto il costone di Genzano dove avvenne la frana.

Alla sua tesi aggiunse anche la citazione di riti ellenistici ed egiziani a cui probabilmente si sarebbe ispirato l’imperatore Caligola che vedevano coinvolte tre navi cerimoniali e non due; interpretazione questa in verità molto ipotetica e solo labilmente condivisa dalla comunità scientifica.


Insomma la notizia fece un gran rumore sul web e sui giornali non solo locali, ma anche nazionali, e ce n’era abbastanza per scatenare la fantasia popolare, tanto che sorsero specifiche associazioni dedicate al tema che organizzarono conferenze e vari video tuttora pubblicati su Youtube.

Si fecero avanti anche gruppi amanti dell’esoterismo, sensitivi di varia estrazione, praticanti dell’occulto e vari ciarlatani che sostenevano di percepire la presenza della favolosa e misteriosa nave nelle limacciose acque del lago.
Insomma la pressione mediatica fu tale che la Soprintendenza facendo riferimento ovviamente ai soli, seri e documentati riferimenti storici, che una componente di verità avrebbero potuto avere, avviò nel 2017 una ricerca, coordinata dalla Dottoressa Nuccia Ghini, con l’aiuto del Nucleo dei Carabinieri Subacquei, della Guardia Costiera, dell’associazione volontaria A.S.S.O. Archeologia, Subacquea, Speleologia e Organizzazione e dell’ARPA Calabria che ha messo a disposizione sofisticati strumenti di rilevamento acustico.
Di tale esperienza riporto in un BOX, a corredo di questo articolo, la testimonianza che ci ha rilasciato il Dott. Mario Mazzoli direttore generale della A.S.S.O.


Comunque le ricerche non portarono a nessun risultato, tuttavia, pur se sono state utilizzate attrezzature di alto livello, non è stato possibile esplorare compiutamente lo strato di fondale sepolto sotto la frana, che richiederebbe altri mezzi tecnici, quindi una se pur labile possibilità dell’esistenza della terza nave potrebbe essere ancora oggetto di una ricerca più sofisticata e approfondita.

A tutto ciò si aggiunse anche l’eco di un romanzo storico molto rigoroso e ben scritto pubblicato da Mondadori già nel 2005, CALIGULA Il mistero di due navi sepolte in un lago – Il sogno perduto di un imperatore della storica e archeologa Maria Grazia Siliato che viveva in zona. La valente studiosa, che era conosciuta anche per le sue proprietà sensitive, sosteneva che tutte le notti incontrava in sogno l’imperatore Caligola, con il quale intavolava lunghe conversazioni, e si diffuse la voce che le avesse accennato anche dell’esistenza della terza nave.

Con lo spirito indagatore del giornalista volevo incontrare la scrittrice di persona, anche perché mi posi la domanda su che argomenti di conversazione potessero esserci tra un ragazzotto un pò psicopatico di poco più di 25 anni con qualche problema di tare mentali assurto al rango di imperatore e un’attempata e rigorosa storica e archeologa di circa novant’anni.
La mia curiosità però non fu soddisfatta perché Maria Grazia Siliato si spense poco dopo il 2 marzo 2018 all’età di 92 anni e non la potei incontrare.

Arriviamo ora ai nostri giorni e mi giunge nuovamente notizia che si stanno organizzando altre possibili ricerche su quest’affascinante mistero. Vedremo gli sviluppi. Insomma l’avventura continua…

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