Di seguito è riportato il razionale d’uso per l’impiego dell’ossigenoterapia iperbarica nella cura dei diversi tipi di ulcere

Si intendono come ferite o ulcere difficili quelle lesioni che hanno una assente o diminuita risposta alla terapia medica o chirurgica per fattori locali (dimensioni, infezione locale, ipossia) o sistemici (anemia, insufficienza vascolare, malattie reumatiche) che ne impediscono la risoluzione.
Tra queste: il piede diabetico, le deiscenze in precedenti siti di amputazione, le ferite traumatiche scarsamente granuleggianti, le ulcere da insufficienza vascolare. Il meccanismo documentato alla base delle ferite difficili è la correlazione tra la ipoperfusione tissutale e infezione.
Nelle ulcere è spesso misurata una tensione di ossigeno lesionale e perilesionale inferiore a 20 mmHg.

In ambiente ipossico le ulcere non guariscono per la ridotta proliferazione dei fibroblasti, ridotta produzione di collagene e scarsa neoangiogenesi. L’ipossia ostacola l’azione battericida intracellulale dei leucociti sugli aerobi comunemente presenti nelle ferite creando un ambiente ideale per la proliferazione fino alla formazione della ferita complicata.
L’uso aggiuntivo dell’OTI può ripristinare un ambiente cellulare favorevole nel quale il processo di guarigione delle ferite ed i meccanismi di difesa contro i batteri vengono potenziati.
Questo approccio si basa su evidenti dati fisiologici sostenuti da ricerche in vivo e su animali e da positive esperienze cliniche.
L’uso dell’ossigeno iperbarico provoca un significativo aumento della ossigenazione tissutale nelle ferite infette e ipoperfuse. Questo aumento della pressione parziale di ossigeno provoca alterazioni significative verso il processo di riparazione delle ferite.

L’OTI stimola la guarigione delle ferite agendo direttamente sulla proliferazione dei fibroblasti (1) con la conseguente produzione di collagene (2) e di glicosaminoglicani (3), sulla neoangiogenesi (4) e stimolando il killing batterico ossidativo dei neutrofili (5). Numerosi studi dimostrano che una elevata tensione di ossigeno nella ferita contribuisce all’eliminazione dei batteri e diminuisce la percentuale di infezione (12,26, 27,28). Come risultato indiretto l’OTI inibisce l’adesione dei leucociti neutrofili all’endotelio (6), interrompendo il danno ossidativo endoteliale, stimola la produzione di mRNA per la sintesi del recettore del platelet-derived growth factor (7) e sinergizza l’azione di alcuni antibiotici (8).
L’OTI sinergizza potenzia l’antibiotico modificandone la struttura chimica o inducendo un danno diretto della parete cellulare del batterio, promuovendo la fagocitosi cellulare mediando altri meccanismi ancora sconosciuti.

La dinamica del sistema di trasporto dell’ossigeno (9) nei processi di riparazione tissutale (perfusione, diffusione e consumo di ossigeno nell’ulcera) è alla base del meccanismo che conduce alla cronicizzazione e alla mancanza della guarigione dell’ulcera, anche quando viene attuata la protezione meccanica e lo scarico posturale in caso di ulcera neuropatica, o nel caso sia possibile sottoporre il paziente con ulcere ischemiche a procedure di rivascolarizzazione chirurgica. Infatti in molti pazienti vi sono aree localizzate di scarso flusso e ipossia a livello periferico per varie alterazioni fisiopatologiche come l’aumento della viscosità ematica, l’aggregazione piastrinica, la glicosilazione proteica nel diabetico, l’ispessimento dell’endotelio capillare, il vasospasmo o la dilatazione capillare, ecc. (10,11)

La pressione parziale dell’ossigeno nel tessuto o nell’ulcera dipende fortemente dalla perfusione, strettamente correlata al calibro vasale e alla pressione ematica. Nel diabetico sono spesso presenti steno-ostruzioni periferiche, ma un ulteriore ostacolo alla perfusione è dato dalla vasocostrizione per stimoli sul sistema nervoso simpatico come quelli provocati dal dolore, freddo, paura, farmaci vasocostrittivi. Ognuno di questi fattori può provocare una riduzione della perfusione e tutti insieme possono deprimerla massivamente (12,13,14). Se è mantenuta una adeguata perfusione è possibile aumentare la tensione dell’ossigeno tissutale (14) attraverso l’aumento della pressione dell’ossigeno inspirato (come avviene in camera iperbarica).
L’apporto di ossigeno alle cellule dell’ulcera dipende anche dalla diffusione attraverso un gradiente di pressione (14).

La velocità di apporto dell’ossigeno è inversamente proporzionale al quadrato della distanza di diffusione e direttamente proporzionale alla pressione dell’ossigeno perilesionale. Il trasporto per lunghe distanze è possibile con l’OTI (15,16). Silver ha infatti dimostrato che in camera iperbarica aumenta la distanza di diffusione percorsa dall’ossigeno nelle ulcere (16). Krogh, cui si deve il famoso modello di diffusione, ha calcolato che in ambiente iperbarico a 3 atmosfere viene teoricamente triplicata la capacità di diffusione dell’ossigeno dal capillare di partenza. Così, nell’ambito della ferita, l’ossigeno iperbarico consente di superare grosse distanze di diffusione (17).

La produzione locale del collagene e la neoangiogenesi tissutale dipendono strettamente dalla tensione dell’ossigeno il cui bilancio è dato dall’apporto, dovuto alla perfusione e alla diffusione, e dal consumo cellulare. Il consumo di ossigeno delle ferite non infette è pari a circa 0,7 ml /100 ml di sangue che le perfonde (14).

Quando la pressione parziale dell’ossigeno nel sangue è di 100 mmHg (respirazione di aria alla normale pressione atmosferica) la quantità di ossigeno molecolare disciolto liberamente nel plasma è di solo 0,3 ml/100 ml. Con l’aumento della pressione dell’ossigeno ematico fino a 275 mmHg (ottenibile a pressione ambiente e FiO2=100%) si incrementa la dissoluzione dell’ossigeno plasmatico fino a valori di 0,8 ml/100 ml; tale quota è sufficiente ad assicurare una normale riparazione tissutale anche dove non possano arrivare i globuli rossi o nel caso di grave anemia, purché la perfusione sia mantenuta normale. Nell’ulcera è utilizzata solo una piccola parte dell’ossigeno legata all’emoglobina, per cui l’anemia non ritarda la cicatrizzazione dell’ulcera finché l’ematocrito non sia inferiore al 15% (13,14,18,19). Se invece l’anemia si associa ad una scarsa perfusione, l’OTI costituisce il solo modo per mantenere la pressione tissutale dell’ossigeno a livelli compatibili con i processi di riparazione.

L’ipossia è il primo segnale per la sintesi del collagene e del Vascular Endotelial Growth Factor (VEGF); la concentrazione del lattato, prodotto dai macrofagi presenti nell’ulcera in condizioni ipossiche, sembra sia lo stimolo alla produzione del collagene e del VEGF; ma è l’iperossia che produce e mantiene l’increzione del VEGF. La velocità della neoangiogenesi è infatti strettamente dipendente dalla pressione di ossigeno presente nella ferita (20,21,22). Knighton (23) e Gibson (24) hanno dimostrato che in ambiente iperossico iperbarico la velocità e la densità della crescita capillare è ottimizzata. La terapia iperbarica aumentando la tensione tissutale di ossigeno permette ai neutrofili di esplicare la funzione di killing anche nelle lesioni infette normalmente ipossiche. Numerosi studi dimostrano che una elevata tensione di ossigeno nella ferita contribuisce all’eliminazione dei batteri e diminuisce la percentuale di infezione (12,26, 27,28).

L’OTI è dunque capace di potenziare la riparazione dell’ulcera risolvendo i problemi di ipossia tissutale lesionale e perilesionale che ne ritardano la normale evoluzione.

E’ giusto però selezionare i pazienti non candidando alla terapia i soggetti che non presentano ipossia tissutale e quelli con problemi di trasporto per difetti di perfusione o diffusione.

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