Psicologia dell’immersione


In quest'articolo affrontiamo il tema molto affascinante della psicologia dell'immersione.
Lo faremo con la psicoterapeuta Giovanna Gioffré, detta Jenny, esperta subacquea, molto conosciuta anche per essere una straordinaria modella e una validissima assistente di alcuni tra i migliori fotografi subacquei italiani, con i quali ha collaborato alla realizzazione di splendide immagini.
Unendo passione e professione, è impegnata da anni nello studio di vari aspetti psicologi che influiscono e condizionano in positivo e in negativo la reazione della mente umana in ambiente subacqueo, svolgendo anche attività psicoterapeutica per varie patologie inerenti l'immersione.

 

La passione verso la profondità

Dott.ssa Giovanna Gioffré
psicologa clinica e psicoterapeuta

 
 

Questo scritto è rivolto a tutti i curiosi di profondità, e nasce dal tentativo di confrontare le mie due passioni: esplorare il profondo del mare e della psiche, vale a dire la pratica dell'immersione subacquea e la pratica della psicanalisi. Sono riflessioni in bilico tra due mondi, tra due elementi, così come l’esperienza subacquea. Vuol essere un ponte tra questi territori dell’animo umano, la psicologia e la subacquea, e soprattutto una condivisione di conoscenze, riflessioni e fantasie emerse. Nell’attività subacquea e nella psicologia del profondo si fa un po' la stessa cosa, si cerca nell’ignoto piccoli momenti di vera e rara bellezza. Ci si immerge in un mondo buio e difficilmente accessibile per una sfida con se stessi, e soprattutto per curiosità verso l’esistenza.
Mi piace introdurre con una citazione di Gaston Bachelard: “Non è la conoscenza del reale che ci porta ad amare con passione il reale. Il valore fondamentale e primario è il sentimento. La natura si comincia ad amarla senza conoscerla, senza distinguerla bene, realizzando nelle cose un amore che affonda altrove” e poi “Sarebbe mai possibile descrivere il passato senza le immagini della profondità? E si potrebbe mai avere un’immagine della profondità piena se non si è meditato sulle rive di un’acqua profonda? Il passato della nostra anima è acqua profonda”. Una riflessione poetica ma che rappresenta bene il richiamo del mare per molti subacquei, tecnici e non.

La psicologia si interessa della motivazione, dell’attitudine e dei comportamenti. Cosa spinge una persona ad andare in profondità? È uno spazio dove emergono nuove cariche emotive, il piacere di vedere e di scoprire cose nuove e di sorprenderci della natura e di noi stessi, dando respiro ad istanze dell’inconscio tanto individuale che collettivo, di recuperare il rapporto con l’origine e l’istinto. Sicuramente sono varie le motivazioni personali più o meno consapevoli, che vanno dall’osservare specie diverse di animali, cercare tesori in un relitto, ma anche confrontarsi con la paura e la disciplina. La subacquea è in un certo senso anche ribellione, andare contro la legge di natura, oltre i propri limiti, così come evasione dalla routine della società.

Nell’esperienza subacquea c’è anche una sorta di decentramento rispetto alla nostra vita quotidiana, c’è l’esplorazione della scoperta. L’immersione soprattutto quella impegnativa ci porta ad affrontare il rapporto con noi stessi in un continuo trovarsi. Il mare è un luogo dell’immaginario sia antropologico sia soggettivo. Ognuno di noi ha la propria “equazione personale”... il mare non ci attrae solo perché è blu, così come la montagna perché è verde. Andare sott’acqua significa, per noi specie terrestre, cambiare ambiente, andare in un mondo per noi misterioso e passatemi il termine, innaturale. Trovarsi in un ambiente diverso da quello in cui generalmente si vive è già un cambiamento che attiva una serie di reazioni nel nostro inconscio, e che influenzano enormemente il nostro stato psichico e di conseguenza i nostri comportamenti.

Andare sott'acqua, trattenere il respiro, ha a che fare con il lasciarsi andare in un’attività per certi versi irrazionale e che, per alcuni, potrebbe essere angosciante o disgregante. Nell’immergersi, soprattutto a profondità impegnative, avvengono delle reazioni psicofisiche e percettive specifiche. Ci sono delle modificazioni fisiologiche necessarie per abituare il corpo a un ambiente differente da quello terrestre. Ci si confronta con una differente percezione della forza di gravità, la temperatura è più intensamente percepita, il rapporto intenso con il mare implica l’interezza psicosomatica di ciascuno di noi. Si presta più attenzione al corpo, alla propria umanità quindi alla propria vulnerabilità. Vari altri fattori meritano considerazione, tra i quali prima di tutto identificherei l’impatto con un orizzonte distinguibile limitato, anche nelle migliori condizioni ambientali di visibilità.

Questo è immediatamente determinante nell’attivare a livello più o meno inconscio la sensazione dell’ignoto e dello sconosciuto. Cosa c’è oltre? Cosa può nascondersi nello spazio circostante non visibile e quindi non percepibile? E’ bene tener presente che questo fenomeno si verifica sempre, pur se in varia misura, anche nella mente di un subacqueo esperto durante una tranquillissima immersione in pochi metri d’acqua. In pratica si attiva inevitabilmente una sorta di stato di allerta e allo stesso tempo attesa, con vari livelli d’intensità, dal più labile e perfettamente controllabile, fino al più intenso, che richiama le reazioni di stress e che potrebbe risultare problematico. Un altro fattore rilevante è la riduzione della percezione dei colori, fino alla totale monocromia, tipica oltre i 40 metri, a cui si aggiunge la drastica riduzione della luce, perlomeno come siamo abituati a vederla in superficie.
Si attiva uno stato di allerta che rappresenta un normale fattore fisiologico, infatti viene definito stress positivo, perché aumenta i nostri meccanismi di attenzione e di difesa, ed anche operativi. Contribuisce a mettere ordine nella priorità delle cose che reputiamo più importanti per la nostra sicurezza, ma anche a svolgere in maniera ottimale quelle operazioni che costituiscono lo scopo della nostra immersione, come l’esplorazione di un relitto o di una grotta, un rilievo archeologico, una documentazione fotografica o video. In pratica la mente funziona come una torcia con un cono di luce ristretta, che si dirige e si concentra con ordine su ogni singola priorità, a volte mettendo in secondo piano sensazioni anche negative come ad esempio il freddo, ma anche dilatando la sensazione temporale.

Queste variazioni percettive, in associazione alla narcosi usuale anche se minima, attivano uno stato alterato di coscienza, con caratteristiche e dinamiche diverse dallo stato normale, che possono a volte comportare un’attenzione labile, una specie di ottundimento. Gli aspetti psicologici coinvolti nell’immersione subacquea, anche già dai primi metri, vengono notevolmente ampliati spingendosi a maggiori profondità. Sono potenzialmente fonte di disagio, e possono diventare per alcuni un confine non superabile. Le condizioni dell’ambiente acquatico possono mutare velocemente, costringendo il subacqueo a rivedere la pianificazione dell’immersione, affrontando talvolta situazioni disagevoli, come forte corrente o poca visibilità.

Senza trascurare lo stress derivante dai pensieri e dalle sensazioni del momento, come ad esempio quella di non ricevere abbastanza aria o la preoccupazione di non averne in quantità sufficiente, l’apprensione per possibili malfunzionamenti dell’attrezzatura, la percezione di non avere le capacità di affrontare la situazione, la perdita di familiarità con l’ambiente circostante.
E’ questa la fase critica che in pratica segna un netto confine tra un normale stress positivo e una situazione sicuramente alterata, di cui bisogna approfondire cause e misura. Risulta importante tener conto che uno stato di coscienza alterato può scatenare improvvisamente e per un non nulla una reazione di panico che può portare a situazioni di altissimo rischio per il sub, come una fuga incontrollata verso la superficie, la perdita della capacità di gestire l’attrezzatura, la perdita del controllo della respirazione con tutto quello che ne consegue. Il problema sorge davanti ad un imprevisto, se lo stato d’ansia aumenta in maniera incontrollabile. Tuttavia una giusta quantità d’ansia e di stato di allarme è funzionale ad un’immersione sicura, e attiva una pronta risposta ad una potenziale minaccia avvertita. Andare sott’acqua costituisce di per sé una situazione potenzialmente stressante, in quanto l’acqua non è l’elemento naturale per noi umani, non potendo respirare direttamente. Infatti per sopravvivere il subacqueo si affida completamente alla propria attrezzatura.
Sembra quindi essere fondamentale la capacità dell’individuo di gestire il possibile insorgere di uno stato d’ansia durante un’immersione prima che questa sfoci in panico, situazione in cui il pensiero razionale risulta labile e le persone possono agire in modo imprevedibile, tale da mettersi in pericolo. Capogiri, sensazione di soffocamento, paura di morire o perdere il controllo, possono essere affrontati solo con una profonda conoscenza di noi stessi e con una solida intesa con i nostri compagni d’immersione. E già, perché in mare non si dovrebbe mai andare da soli! La subacquea tiene in sé la contraddizione di essere uno spazio per se stessi dove, citando Enzo Maiorca, “non c’è silenzio, ma risuonano le urla interiori”, e il desiderio di far parte di un gruppo con cui condividiamo piaceri e rischi, e a cui ci affidiamo in caso di difficoltà. Tutta la ribellione verso il sociale diviene invece supporto ed appartenenza ad un gruppo che affronta una difficoltà. E questo i subacquei potrebbero insegnarlo a chi non sa cosa sia il mare.

Ripartiamo quindi dalla domanda iniziale. In Sicilia una volta ho sentito un’espressione emozionata come solo il dialetto siciliano sa rendere, a cui sono rimasta particolarmente affezionata e che a mio parere racchiude sinteticamente la spinta verso il mondo subacqueo da parte della maggior parte di noi “Nfunnu o mare si riposa u cori”, in fondo al mare si riposa il cuore.

Ecco perché ci immergiamo e riemergiamo in un certo senso rinati, e rigenerati nella psiche. Affrontiamo rischi, stress e fatica nella speranza e nell’aspettativa dell’inconsueto, del misterioso, ma anche di una bellezza sconosciuta e terrifica. In proposito amo dire: qual è il sub che non ha mai cercato una sirena! Che poi questa prenda le sembianze di un pesce luna, di un tonno a caccia, o di una curiosa tartaruga, poco importa. Come ricordare che il grande filosofo francese Gaston Bachelard affermò che “l’infinito nei nostri sogni è ugualmente profondo nel firmamento e sotto le acque”. Insomma il fascino della profondità è sicuramente l’elemento che controbilancia notevolmente i disagi della sensazione di ignoto che abbiamo citato, altrimenti l’immersione sarebbe caratterizzata solo da paure più o meno razionali.

Dunque, come gestire noi stessi in acqua e divertirci? Innanzitutto rispettando il mare. Rispettare il mare è sì tutelarne l’ecosistema, evitare la pesca indiscriminata e l’inquinamento, ma è anche riconoscere la natura, la grandezza e la potenza di questo elemento naturale. L’uomo, nonostante le sue manie di grandezza, nulla può rispetto alla Natura. Riconoscere questo, onorare il mare, già condizionerà il nostro approccio ad esso e la nostra sicurezza.
Le immersioni subacquee impegnative hanno a che fare con una dose di narcisismo, con l’autostima e con la propria percezione di competenza o a volte di onnipotenza. Abbiamo due tipi di soggetti maggiormente esposti a rischi. Da una parte quelli con alta componente ansiosa, derivante dalla propria struttura di personalità ma anche da fattori momentanei e contingenti di stress. L’altra tipologia a rischio è costituita principalmente da personalità esibizionistiche o immature, che non hanno percezione dei propri limiti e una consapevolezza piena della propria debolezza, e che tengono poco in conto gli imprevisti. Questo non significa che le immersioni impegnative non vanno fatte, ma bisogna essere preparati e formati.

Che consigli mi sento di dare? Sono molte le tecniche e le pratiche utilizzate da varie didattiche e da orientamenti di psicologia per controllare l’ansia, dal monitoraggio del proprio respiro al riconoscere i segni di disagio e stress propri e dei compagni d’immersione, dalle tecniche di concentrazione e rilassamento come lo yoga al training autogeno. Sicuramente approfondire queste discipline aiuta moltissimo a creare lo stato mentale ideale all’apprendimento e alla pratica dell’immersione profonda, ma non è questo lo scopo di questo scritto, che vuol essere un’occasione di condivisione e non il capitolo di un manuale. Però qualche suggerimento desidero darlo.
Primo di tutto evitare di immergersi con stati d’animo depressi, perché la soglia dello stress e della reattività davanti a situazioni d’emergenza risulterebbe sicuramente alterata e la nostra mente può reagire in maniera inadeguata davanti ad eventuali difficoltà. In pratica si diventa notevolmente più vulnerabili. Se alcune ansie, timori e paure eccessive, riducono la capacità di svolgere una serena attività subacquea, soprattutto sulla soglia dei 40 metri, trasformando questa in un disagio e diventando talvolta un blocco assoluto, non esiterei a rivolgermi a uno psicoterapeuta del profondo, che è in grado di aiutare il paziente a risalire all’origine, alle cause dei propri problemi, e nella maggior parte dei casi a rimuoverle. Spesso scegliamo un hobby proprio perché rappresenta un’occasione assolutamente personale di migliorarci ed essere più vicini a noi stessi. Non dimentichiamo che affrontare un problema di fondo della nostra psiche, che abbiamo scoperto manifestarsi nell’attività subacquea, ci aiuterà ovviamente anche per mantenere un giusto equilibrio e una giusta serenità nella nostra vita. Un altro detto siciliano ci ricorda che “A mari non ci sunnu taverni”, a mare non ci sono taverne, luoghi sicuri in cui rifugiarsi. La sicurezza in mare sta molto nell’abilità di badare a se stessi, nella propria formazione, ma soprattutto nello sviluppo di una necessaria consapevolezza di se. In mare facciamo esperienza della solitudine e la tolleranza della solitudine la si apprende con l’esperienza. E proprio l’esperienza in mare, come nella vita in genere, ha a che fare con fattori soggettivi e probabilistici.

Nella nostra esistenza non esiste nulla di assolutamente prevedibile. Siamo certi che la sicurezza in mare dipende principalmente dalla capacità di prevedere tutto, di controllare tutto, ma nulla è pienamente ipotizzabile. In un subacqueo professionista, per affrontare un imprevisto, vanno sviluppate principalmente l’autonomia e la capacità di un controllo emotivo di quelle che sono situazioni inaspettate che possono verificarsi. Occorre quindi una vera formazione che crei un subacqueo consapevole oltre che preparato. E quindi deve essere anche interna al soggetto stesso cioè deve alimentare non solo una preparazione tecnica, ma una preparazione psichica. L’immersione subacquea ci offre la possibilità di vivere un’esperienza che può essere semplicemente ludica e ricreativa, ma ci offre anche la possibilità di cercare nel mare stesso qualcosa di meraviglioso che risuona della nostra stessa anima.

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