Adriano Madonna – Il Mediterraneo del XXI sec.

Intervista di Umberto Natoli

Il Prof. Madonna con le iguane marine durante una spedizione alle isole Galàpagos

Il Prof. Madonna durante una spedizione nella Terra del Fuoco per studiare le mutazioni genetiche dei pinguini

Il Prof. Adriano Madonna, un nome ben noto da molti anni alla comunità subacquea, prima per la sua attività giornalistica, poi per quella di biologo marino in qualità di ricercatore e di docente, ci offre un suo articolo sul fenomeno del riscaldamento del Mediterraneo, che titola Fatti e misfatti del Mediterraneo del XXI secolo

Abbiamo comunque voluto rivolgergli una domanda di ordine pratico e di grande attualità su come si presenta oggi il Mare Nostrum

Il suo contributo scientifico ci sarà anche di aiuto in alcuni dei prossimi numeri di La Marea Magazine, per conoscere e meglio comprendere la vita del nostro mare e per prendere consapevolezza del miglior rapporto e del comportamento che possiamo e dobbiamo assumere noi subacquei a contatto con il delicato ecosistema marino.

Prof. Madonna, lei che prima di essere un biologo, da molti anni è un appassionato subacqueo, come ha visto mutato il nostro mare nel tempo?

Ovviamente, la mia risposta non può che essere scientifica. Tuttavia, due fenomeni, due variazioni rispetto al passato, che appaiono evidenti agli occhi di tutti i subacquei, sono un progressivo aumento della temperatura media del mare durante tutto l’anno e la diminuzione della trasparenza delle acque. Questi sono i due fattori direttamente verificabili da chi va sott’acqua da tanti anni, e che, ovviamente, hanno forti ripercussioni sull’ambiente. Do solo un paio di informazioni di massima sugli effetti che ne derivano, ma che avrò il piacere di spiegare più approfonditamente e diffusamente nel dettaglio nei prossimi numeri de La Marea Magazine. La ricca e variegata criptofauna che popola le primissime quote del Mediterraneo, da pochi centimetri fino a poco più di un metro di profondità, con il forte aumento di temperatura d’estate, potrebbe perdere l’elasticità genetica del DNA ad adattarsi alle variazioni stagionali e, quindi, potrebbe entrare in sofferenza. Un altro esempio è la moria della nacchera (Pinna nobilis) e dello spondilo (Spondilus gaederopus), due noti molluschi bivalvi, perché sempre a seguito dell’aumento di temperatura subiscono gli effetti di una proliferazione di batteri, virus e funghi, che in particolare attaccano la ghiandola digestiva di questi bivalvi  e che già ne hanno causato una diffusa moria. Per quanto riguarda l’altro fenomeno dell’intorbidimento delle acque, in molte zone la scarsa trasparenza non consente alla luce di giungere con efficacia in profondità per attivare il processo della fotosintesi clorofilliana sulle foglie della preziosissima posidonia. Non dimentichiamo che Posidonia oceanica è un importantissimo ecosistema per la vita di numerosissimi organismi marini, oltre ad essere una vera fabbrica di ossigeno e di glucosio. La posidonia è forse l’organismo marino autoctono più importante del Mediterraneo, ma purtroppo in molte aree del fondo che un tempo lussureggiavano di verde, attualmente la posidonia è scomparsa con un grave danno per l’intero ambiente sottomarino. 

Il Prof. Madonna nell’equipe di ricerca del Laboratorio di Endocrinologia Comparata EClab, Dipartimento di Biologia, Università di Napoli “Federico II”

Fatti e misfatti del Mediterraneo del XXI secolo 

Prof. Adriano Madonna

biologo marino di EClab Laboratorio di Endocrinologia Comparata, Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, dove è responsabile del Processo ISM (Identificazione Specie Marine) e del Processo Tutela della Biodiversità. Docente di Scienze Ambientali presso la Scuola Superiore di Tecnologa per il Mare – ITS G. Caboto  di Gaeta, e ricercatore del Centro Culturale Ambientale della Lega Navale Italiana.

Il fenomeno del riscaldamento del nostro mare non è una novità: è iniziato diversi anni fa e attualmente è una realtà ben evidente in ragione delle numerose specie che da mari caldi come il Mar Rosso e i Tropici in genere continuano a giungere in Mediterraneo. 

Il Mare Nostrum, quindi, sembra che debba tornare ad essere un mare tropicale come era in origine, quando, circa 130 milioni di anni fa, si formò dal Golfo della Tetide durante i grandi movimenti della Pangea causati dalla deriva dei continenti.

 

Queste due immagini illustrano la dinamica del Modello dell’oceano a due compartimenti.
D’estate lo strato superiore è caldo perché è a contatto con l’atmosfera, quindi è leggero e galleggia su quello sottostante, più freddo.
D’inverno lo strato superiore si raffredda a contatto con l’aria fredda, quindi aumenta di densità (peso), scende verso il basso e va a prendere il posto dello strato inferiore.
Quest’ultimo sale a galla trasportando con sé i nutrienti, che andranno a fertilizzare il fitoplancton, ingrandendo, così, il primo gradino della piramide alimentare. Attualmente, gli inverni caldi e brevi non consentono più una efficace realizzazione di questa dinamica.

Il barracuda è ormai un pesce comune in Mediterraneo. Giunto dall’Atlantico, ha costituito una specie autoctona del Mare Nostrum, denominata Sphyraena viridensis

Guardare con attenzione, oggi, sul banco del mercato ittico, significa trovare spesso qualcosa di esotico: un barracuda, magari un pesce grugnitore, un granchietto rosso e azzurro noto come Percnon gibbesi, una specie fortemente invasiva che ha colonizzato le nostre coste rocciose con incredibile velocità etc. Niente di grave sino a che non cominceranno ad arrivare in numero significativo le specie pericolose, come il pesce palla, ormai già presente da qualche anno nelle nostre acque, il pesce scorpione e organismi poco simpatici, come la medusa Physalia phisalis, nota come caravella portoghese, decisamente pericolosa perché in grado di provocare addirittura il decesso per shock anafilattico. Alla luce dei fatti, quindi, molte specie alloctone stanno migrando in Mediterraneo da altre acque. Stiamo assistendo ad una veloce colonizzazione del nostro mare che certamente ne altererà l’identità: un vero e proprio inquinamento biologico. La domanda ovvia, a questo punto, è la seguente: “specie autoctone e specie alloctone divideranno senza problemi il nostro mare oppure ci sarà competizione per le risorse?” La seconda ipotesi è la risposta giusta e proprio a causa di queste inevitabili competizioni si può ipotizzare che il Mediterraneo in un prossimo futuro attraverserà un momento più o meno lungo di scarsità ittica.

Questo crostaceo del genere Galatea per diversi anni ha sovrapposto la propria nicchia ecologica a quella del gambero rosso sui fondali giornalmente battuti dai pescherecci di Gaeta, producendo un danno importante all’economia della pesca della città del basso Lazio

Il Principio di esclusione di Gause insegna che due specie diverse non possono condividere la stessa nicchia ecologica e una delle due deve necessariamente soccombere. In ogni caso, un’invasione da parte di specie alloctone e una resistenza all’invasione da parte di quelle autoctone genererà una situazione di stress in entrambe, con conseguenze del tipo: scarsa riproduzione, scarsa crescita e scarsa resistenza alle patologie. Tutto ciò si traduce facilmente in scarsità ittica a danno dell’industria della pesca.

Già oggi si assiste a qualche caso di supremazia di una specie su un’altra: specie che hanno scacciato altre specie dai loro abituali areali. Si tratta di cose ancora episodiche, ma che confermano le leggi dell’ecologia. Pochi anni fa, ad esempio, in diverse aree al largo del Golfo di Gaeta, normalmente frequentate dalle strascicanti per la pesca del gambero rosso, si registrò un fenomeno singolare: quando, infatti, si recuperavano le reti e si riversava sul ponte il contenuto del sacco, in luogo dei gamberi rossi si trovavano altri crostacei del genere Galatea. Era sin troppo chiaro che su quelle porzioni di fondo marino la Galatea aveva soppiantato il gambero rosso per sovrapposizione di nicchie ecologiche, con la conseguenza di un danno economico importante. Ci si può quindi aspettare che altre specie pregiate tipiche del nostro mare possano essere sostituite da altre non native di scarso valore commerciale.

Conosciuto come bavosa africana, Parablennius pilicornis si è esteso verso il bacino centrale e settentrionale del Mediterraneo grazie al fenomeno della meridionalizzazione, cioè la tendenza al livellamento delle temperature in tutto il bacino del nostro mare, da quello meridionale a quello settentrionale

Oltre a ciò, si deve segnalare che l’attuale presenza in Mediterraneo di specie alloctone pericolose, come il pesce palla e altre, ci trova assolutamente impreparati: nessuno, infatti, tranne i biologi marini con una certa pratica sul campo conoscono queste specie, poiché sono nuovi arrivati nel nostro mare, e maneggiarle o mangiarle (a seconda delle specie) può essere letale. Mancano, dunque, incontri di aggiornamento, magari presso le Capitanerie di Porto, in cui si facciano conoscere ai pescatori professionisti e ai rivenditori del mercato ittico queste nuove specie la cui scarsa conoscenza costituisce un rischio serio. Forse tutto ciò si farà quando ci sarà il primo morto. 

Un problema importante sarà l’attività della pesca nel Mediterraneo del XXI secolo, che dovrà vedersela con le nuove situazioni ambientali che si stanno presentando. Tra i parametri che stanno cambiando, dunque, prima fra tutte la temperatura, a cui si legano molti fenomeni, come una nuova dinamica delle correnti dovuta a diverse stratificazioni di masse d’acqua di densità differenti, e, di pari passo, anche una diversa stratificazione dei nutrienti, che, direttamente o indirettamente, si ripercuote in maniera importante sulla piramide alimentare.

A queste variazioni abiotiche e biotiche le specie acquatiche rispondono in modi diversi poiché non tutti i phyla biologici (Il phylum è l’insieme delle caratteristiche anatomiche e fisiologiche delle varie categorie di organismi viventi: molluschi, crostacei, pesci, ecc.), così come non tutte le specie di uno stesso phylum sono uguali, ma hanno ognuno le proprie peculiarità. Ad esempio, ogni specie ha il proprio ciclo biologico e una particolare modalità di accrescimento della popolazione. Alcune sono caratterizzate da un accrescimento esponenziale seguito da crolli parimenti importanti. Sono, queste, le specie soggette alla cosiddetta selezione r.

Chiamato “granchietto americano”, Percnon gibbesi sembra che sia giunto a casa nostra dalla Florida. Ha colonizzato le nostre coste rocciose, in particolare quelle costituite da massi sovrapposti, come le scogliere artificiali. Ha occupato la nicchia ecologica di alcune specie di granchi nostrani, ma in molte aree, dopo una invasione massiccia, si è ridotto considerevolmente

Appartengono a questa categoria quelle specie influenzate in particolare da variabili come la temperatura, il PH, la salinità. Le specie soggette a selezione r sono molto prolifiche (come i merluzzi): producono una numerosa discendenza per far fronte a quelle eventuali variazioni ambientali che potrebbero distruggere l’intera popolazione.

Le specie soggette alla selezione k, invece, si trovano all’estremo opposto: producono pochi discendenti ma spendono quantità enormi di energie per assicurare la loro sopravvivenza (cure parentali). A differenza delle specie r, le k hanno popolazioni più o meno stabili, con un numero di individui vicino alla capacità portante. Si definisce capacità portante il numero massimo di individui di una specie che un ambiente può contenere in funzione della disponibilità delle risorse. La selezione r gioca sui grandi numeri ed è soggetta a grandi oscillazioni, la selezione k dà più garanzie di stabilità, ma le popolazioni costituite dalle specie soggette alla selezione k sono molto meno numerose e la pesca professionale nella maggior parte dei casi si pratica sui grandi numeri. 

Il concetto di selezione r e selezione k è un sistema scientifico che serve a schematizzare una situazione, ma in natura (non solo in mare e in ambiente acquatico in generale) le specie formano un continuum tra le due categorie, tant’è che a volte non è facile classificare alcune specie in una categoria o nell’altra.

 

Il Pomadasys incisus somiglia ad una marmora o ad un pagello, ma giunge da altri mari: è, infatti, una specie non nativa del Mediterraneo, anche se da alcuni anni vive benissimo nelle nostre acque, tant’è che si trova con facilità sui banchi del mercato ittico. Le carni, però, sciape come quelle di molti pesci tropicali, lasciano molto a desiderare. Il nome comune è grugnitore bastardo

In ogni caso, considerando sia i cicli biologici sia le caratteristiche di riproduzione dei vari gruppi animali, possiamo affermare che molti sono caratterizzati dalla “strategia del numero” e altri dalla “strategia delle cure parentali”. Riassumendo, è certo che, direttamente o indirettamente, la distribuzione e la densità delle popolazioni sono limitate dagli effetti che l’ambiente fisico esercita sugli individui. 

Nel 1913, l’ecologo americano Victor Shelford, elaborando la “legge del minimo” del chimico tedesco Justus Von Liebig, affermò che una quantità troppo piccola o una quantità troppo grande di un fattore ambientale è capace di limitare la densità di una popolazione, tendendo verso i limiti di tolleranza degli individui o superandoli. In altre parole, un animale ha limiti di tolleranza per valori estremi di temperatura (troppo bassa o troppo alta), PH (troppa acidità o alcalinità), luce (troppa luce o poca luce = fotoinibizione), ossigeno (ambiente ipossigenato o iperossigenato) etc. Esistono specie più tolleranti alle variazioni ambientali, dette eurìecie, e sono quelle caratterizzate da maggiore distribuzione, e specie meno tolleranti, dette stenoecie, con minore distribuzione. Abbiamo comunque imparato, che, nel tempo, in natura spesso avvengono aggiustamenti ad hoc, là dove questi aggiustamenti si chiamano evoluzione. Con molta probabilità, proprio come è avvenuto sin dal primo mattino del mondo, quando la vita si è aperta alla luce e ha subito mille trasformazioni in funzione di innumerevoli cambiamenti dell’ambiente, questi problemi potranno essere risolti grazie a mutazioni genetiche ad hoc che ogni specie metterà a punto nel proprio DNA.

 

Il riscaldamento delle acque ha dato origine ad un fenomeno di proliferazione delle meduse grazie ad un ampliamento del loro periodo riproduttivo. Ad esempio, la cubomedusa Caribdea marsupialis, specie autoctona del Mediterraneo ma poco frequente, in alcune aree è diventata molto comune. È nota con il nome di vespa di mare

Il riscaldamento delle acque causato dal global warming comporta un problema molto sentito e lamentato dai pescatori e cioè la scarsità di pescato. Uno dei motivi più importanti di questo problema che mette in seria crisi la pesca professionale è la mancata dinamica di un fenomeno essenziale denominato e che ci accingiamo a descrivere.

Consideriamo il mare come una vasca costituita da due strati d’acqua: uno superiore, la cui superficie è a contatto con l’atmosfera, e uno inferiore, che giunge fino al fondo. Lo strato superiore d’estate è più caldo poiché è a contatto con l’aria e d’estate l’aria è calda. Essendo più caldo, il primo strato è anche più leggero di quello inferiore, quindi vi galleggia sopra. È importante considerare che quest’ultimo, lo strato inferiore, è ricco di nutrienti, costituiti prevalentemente da composti azotati, silicati e fosfati. D’inverno la situazione si inverte: infatti, l’aria si raffredda e, di conseguenza, si raffredda anche lo strato superiore. Raffreddandosi, aumenta di densità (peso) e affonda (la corrente verticale che si forma nella discesa prende il nome di downwelling o sinking), andando a prendere il posto dello strato inferiore, che sale a galla (la corrente verticale ascensionale prende il nome di upwelling) portando con sé i nutrienti. Questi vanno a fertilizzare il fitoplancton, cioè la parte vegetale del plancton (formata da microalghe), che costituisce il primo gradino della piramide alimentare, infatti il fitoplancton viene mangiato dallo zooplancton e questo da altri organismi, tra cui i pesci. 

 

Il pesce palla mascherato è un ospite poco gradito in Mediterraneo: mangiare un pesce palla, infatti, significa rischiare la vita a causa di una potente ittiotossina che prende il nome di tetradotossina, in grado di bloccare i muscoli preposti alla respirazione. La cottura del pesce non evita il problema. Il pesce palla si adatta con facilità a tutti i parametri dell’ambiente marino, tant’è che viene ritenuto una specie cosmopolita

A questo punto, consideriamo l’importanza del primo gradino della piramide, quello costituito dal fitoplancton: infatti, quanto più abbondante sarà il fitoplancton tanto più grande sarà la piramide alimentare. Ciò significa che quanto più abbondante sarà il fitoplancton tanto più abbondante sarà la vita nel mare e tanto più abbondante, quindi, sarà il pesce nelle reti. Il problema nasce proprio qua: attualmente, infatti, a causa del global warming, la temperatura che l’acqua del primo strato raggiunge d’estate è più alta del normale. Inoltre, l’inverno è meno freddo del solito e la sua durata è più breve.

Tutto ciò fa sì che il primo strato non riesce a raggiungere una temperatura sufficientemente bassa da aumentare la densità dell’acqua (densità significa peso) e, quindi, da far scendere lo strato superiore verso il basso e sostituirsi allo strato profondo. Quest’ultimo non sale in superficie con il suo carico di nutrienti, quindi il fitoplancton non viene fertilizzato e il risultato è una piramide alimentare di scarsa entità. Questo è uno dei motivi, certamente tra i più importanti, per cui il nostro mare è attualmente povero.

 

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