Tutti i segreti del nuoto dei pesci, dei cetacei e…dell’uomo


Abbiamo voluto affrontare l’interessante argomento del nuoto subacqueo, analizzando i vari aspetti biologici e fisici che intervengono sul funzionamento del sistema propulsivo dei pesci e dei cetacei, facendo anche un confronto su come l’uomo affronta la necessità di spostarsi in immersione attraverso l’uso delle pinne. Quindi su come le progetta e come le realizza, e se queste derivano o meno dagli studi di quelle del mondo animale. L’argomento risulta tecnicamente più complesso di come potrebbe apparire, e per questo molto affascinante. Per quanto riguarda i pesci e i cetacei, a parlarcene è il Prof. Adriano Madonna che con grande capacità di sintesi, ma anche con la necessaria completezza, ce ne illustra tutti gli aspetti più essenziali. Relativamente alla propulsione umana, quindi ottenuta attraverso l’uso delle pinne, abbiamo sentito il parere di un grande esperto nella progettazione di attrezzature subacquee, Carlos Godoy della Cressi Sub, che ha firmato la realizzazione di alcuni modelli tra i più apprezzati dai subacquei di tutto il mondo.

Il nuoto dei pesci e dei cetacei


Prof. Adriano Madonna, Biologo Marino, EClab Laboratorio di Endocrinologia Comparata, Università degli Studi di Napoli “Federico II”

 
 
Foto di Umberto Natoli

Come si muovono gli animali marini? Che cosa sono le resistenze di viscosità e le resistenze inerziali? Com’è fatta la pelle di un pesce migratore? Come nuotano i pesci? Risposte a questi e ad altri quesiti.
Nel pianeta acqua ci sono organismi immobili sul fondo, come i sessili, che sono ancorati al substrato senza possibilità di spostamento, e organismi vagili. Questi ultimi hanno possibilità di coprire brevi o lunghe distanze, nuotando, reptando oppure strisciando. In queste pagine ci occuperemo dei sistemi di locomozione di alcuni organismi nuotatori, iniziando dai pesci, che di solito polarizzano di più il nostro interesse e la nostra attenzione.
Innanzitutto, dobbiamo precisare che tutti gli animali che nuotano presentano la caratteristica di un assetto idrostatico che avvantaggia la loro progressione e la loro “sospensione” nell’elemento liquido grazie ad un peso quasi neutro. Nella maggior parte dei pesci l’assetto idrostatico ottimale si raggiunge grazie alla vescica natatoria, questa sacca presente nel celoma (la cavità addominale in cui sono situati gli organi vitali degli animali più progrediti, come il cuore, il fegato etc.) in grado di gonfiarsi e sgonfiarsi come un salvagente (una sorta di gav del pesce!).
In altri organismi, invece, la materia corporea è essenzialmente a base di acqua, quindi l’animale pesa quasi quanto l’acqua, non ha problemi di assetto e deve impiegare energie solo per la sua progressione, ma non per il sostentamento verticale. Esempi del genere sono i molluschi cefalopodi (il polpo, la seppia, il totano), ma anche le meduse e tutti quegli organismi ad esse simili, fatti quasi esclusivamente d’acqua, che costituiscono, nel loro insieme, il cosiddetto plancton gelatinoso.

La resistenza alla viscosità

Quando si parla delle caratteristiche fisiche e chimiche dell’acqua di mare, si prendono in considerazione la temperatura, la salinità e la densità, ma di solito si dimentica la viscosità. Dai non addetti ai lavori e nel parlar comune, quasi sempre la viscosità viene confusa con la densità, ma si tratta di due cose del tutto diverse: parlando di acqua, ad esempio, la densità è il suo peso, che, ovviamente, è direttamente proporzionale al suo grado di salinità, poiché quanto più l’acqua è salata (quanto più sale contiene) tanto più è pesante.
La viscosità di un liquido, invece, viene definita come la resistenza che esso oppone alla penetrazione di un corpo, oppure come la resistenza che un filetto fluido oppone alla scorrimento del filetto sottostante. Quest’ultimo concetto potrebbe sembrare un po’ astruso, ma lo renderemo immediatamente più chiaro: mettiamo su un piano inclinato una goccia d’acqua e una goccia d’olio, che tenderanno a scivolare verso il basso. Notiamo che l’acqua scende più velocemente dell’olio, proprio perché, considerando un liquido come una sovrapposizione di filetti fluidi, nell’olio, rispetto a quanto avviene nell’acqua, ogni filetto oppone una maggiore resistenza allo scorrimento di quello sottostante. Diciamo, dunque, che nei liquidi più viscosi c’è più coesione tra le varie particelle che lo compongono e questa coesione diventa resistenza allo scorrimento.
Non si creda, comunque, che un liquido più viscoso di un altro sia, rispetto a quest’ultimo, anche più denso. Ne sono un esempio ancora l’olio e l’acqua: l’olio è più viscoso dell’acqua, ma è anche più leggero, infatti, mettendo olio e acqua in un contenitore, l’olio galleggia sull’acqua.

Resistenza e rapporto Wd/Ln

Abbiamo detto che la viscosità di un liquido può essere definita anche come la resistenza che esso oppone a un corpo che lo attraversa, fermo restando che la facilità da parte di un corpo di progredire in un liquido dipende anche moltissimo dalla sua forma e dalla sua massa. Una forma che facilità la penetrazione nel liquido si dice più idrodinamica di un’altra che trova più freni proprio in ragione di com’è fatta. E' questo il motivo per cui quei pesci che nuotano per lunghe distanze, come i migratori, di cui i tonni sono i più simbolici, hanno la tipica forma a fuso. Se invece di avere il muso aguzzo che “buca l’acqua”, avessero il muso piatto, opporrebbero maggiore resistenza alla progressione.
E adesso una chicca per gli appassionati: abbiamo parlato di resistenza opposta dall’acqua durante il nuoto dei pesci, ma possiamo rendere questo concetto molto più preciso, addirittura matematico: la resistenza all’acqua è minima quando la larghezza dell’animale, che indichiamo con Wd, è circa un quarto della sua lunghezza, che indichiamo con Ln. Il rapporto ottimale con cui si raggiunge il minimo della resistenza è pari a 0.25. Tra gli animali marini più idrodinamici, dunque, citiamo il tonno, con rapporto WD/Ln uguale a 0.28, il pesce spada, in cui il rapporto è 0.24, lo squalo bianco e altri con 0.26, il delfino con 0.25.
Ovviamente, un sarago avrà un rapporto molto diverso e decisamente meno vantaggioso, ma osservate un sarago, un tonno una palamita, un ricciola: anche a naso, vi sembra che abbiano la stessa idrodinamicità? Proprio no! Ma il sarago non ha bisogno di essere molto idrodinamico: essendo un pesce stanziale, infatti, non effettua il giro del mondo come il tonno e non deve macinare miglia e miglia di mare!

Resistenza di viscosità e resistenza inerziale

Abbiamo espresso il concetto della progressione di un animale marino in acqua solo a grandi linee, ma adesso dobbiamo essere più precisi e dettagliati. Un animale che nuota ha, in opposizione al proprio movimento, due tipi di resistenze: la resistenza di viscosità e la resistenza inerziale. Abbiamo detto che la resistenza di viscosità è data dall’attrito tra il corpo dell’animale e l’acqua e che questa resistenza viene aumentata o diminuita in particolare dalla levigatezza della superficie corporea. Osservando il solito tonno, vediamo che la sua pelle è di “serico” aspetto (come la seta), infatti è abbastanza liscio, ma non del tutto, per un motivo ben preciso. Consideriamo, innanzitutto, che un liquido può essere considerato come una sovrapposizione di strati, che chiamiamo filetti liquidi. La pelle del tonno, liscia ma non esageratamente liscia, presenta quella rugosità minima sufficiente a fare grip con l’acqua e a “strapparle” un filetto fluido, che le resta aderente, diventando quasi una guaina che si muove insieme con il pesce. Poiché nulla offre meno resistenza allo scorrimento in un liquido di un filetto del liquido stesso, ecco che il tonno raggiunge il minimo della resistenza alla viscosità poiché è come se la sua pelle fosse fatta della stessa acqua in cui si muove.
Le resistenza inerziale, invece, dipende proprio dalla forma del corpo ed è influenzabile dalla velocità.

Resistenza inerziale e forma della coda

Sappiamo che l’organo propulsivo dei pesci è la pinna caudale, che chiamiamo comunemente coda. Anche le code, dunque, hanno forme diverse e, quindi, diverse resistenze inerziali all’acqua, poiché nei loro movimenti di spinta contro l’acqua creano turbolenze anche diverse. Considerando le varie forme delle code dei pesci, precisiamo che quando il rapporto tra la lunghezza dorso-ventrale e la lunghezza antero-posteriore è grande, la spinta che viene prodotta è alta rispetto alla resistenza inerziale. Infatti, la pinna a mezza luna dei tonni, del pesce spada e simili, ha proprio questa caratteristica: il rapporto di forma è elevato, così come la spinta propulsiva.

Il supporto della pinna caudale

Abbiamo detto che la pinna caudale è il mezzo propulsivo dei pesci. Essa è l’appendice posteriore della colonna vertebrale, si muove a destra e a sinistra, a volte impercettibilmente, e genera la spinta in avanti. Il motore che la mette in azione è un sistema di muscoli che percorre praticamente tutto il pesce: una sorta di reazione a catena con una serie di movimenti che si trasmettono alla coda. Quest’ultima, per fare fortemente leva nell’acqua, deve essere ben incardinata alle vertebre terminali della colonna vertebrale altrimenti non potrebbe sostenere uno sforzo così ingente senza che il peduncolo caudale, cioè quel piccolo segmento che la collega al corpo fusiforme del pesce, si spezzi. Qui, proprio a livello del peduncolo caudale, ci sono degli elementi di rinforzo che supportano la coda: si chiamano ipurali e sono la trasformazione degli archi dorsali e degli archi emali delle ultime vertebre posteriori della colonna vertebrale in piastre piatte e larghe.
La prossima volta che mangerete del pesce, se avrete nel piatto una bella spigola, un dentice, un’orata, sollevate con delicatezza pelle e polpa del peduncolo caudale e potrete vedere gli ipurali.

Il nuoto dei cefalopodi

I molluschi cefalopodi (il polpo, la seppia, il calamaro, il totano) sono in grado di raggiungere le velocità più alte tra gli invertebrati, potendo toccare anche i 40 km orari. Sappiamo che, a differenza dei pesci, i molluschi cefalopodi, non avendo pinne, nuotano grazie ad un sistema a jet: acqua a pressione viene espulsa attraverso un organo detto imbuto e il cefalopode si muove a reazione. Tutto ciò funziona grazie ad un particolare sistema muscolare situato sul mantello del mollusco, ricordando che quest’ultimo è la sacca situata al di sopra della testa, dove sono contenuti gli organi vitali. È interessante notare che questi muscoli, sia contraendosi sia decontraendosi, non mutano la forma esterna del mantello. Per questo motivo si parla di un sistema a volume costante detto “idrostato muscolare”. Il sistema è formato da due tipi di muscoli: i circolari e i radiali, mentre lo spessore del mantello presenta particolari fibre di collagene disposte obliquamente. Il sistema di muscoli circolari adepto alla contrazione del mantello è fatto di tre strati: uno esterno, uno centrale e uno interno. Quando il cefalopode si muove con nuoto lento nei lunghi spostamenti si attivano lo strato interno e quello esterno, necessari anche alla respirazione. Nel momento in cui l’animale deve aumentare in tutta fretta la propria velocità, come in una situazione di aggressione di una preda o di fuga da un predatore, entra in azione lo strato centrale.
I muscoli radiali, a differenza di quelli circolari, sono adepti solo alla respirazione. I muscoli del mantello dei cefalopodi hanno anche altre funzioni: in particolare, il calamaro, muovendo i muscoli del mantello, riesce a mutare il volume del celoma (la cavità interna) senza alcun cambiamento di forma del mantello, quindi senza influenzare le resistenze alla progressione nel mezzo liquido.

I muscoli del nuoto nei pesci

L’apparato muscolare di un pesce relativo al nuoto è fatto da fasci muscolari assiali, cioè disposti parallelamente all’asse longitudinale del pesce, cioè la colonna vertebrale. Questi segmenti, che prendono lo specifico nome di miomeri, sono disposti sui due lati del corpo: sono, quindi, simmetrici rispetto alla colonna vertebrale e in genere sono in numero pari a quello delle vertebre.
Osservando una trancia di pesce spada o di tonno, possiamo renderci perfettamente conto di come sia organizzata la muscolatura assiale dei pesci, in particolare di quelli capaci di raggiungere alte velocità: osserviamo, infatti, che la muscolatura di destra è separata da quella di sinistra da un setto verticale, mentre quella della parte dorsale è separata da quella della parte ventrale da un secondo setto connettivale orizzontale. La muscolatura dorsale si definisce epiassiale (al di sopra dell’asse), quella ventrale ipoassiale (al di sotto dell’asse).
Nei muscoli dei pesci troviamo cellule muscolari rosse e bianche, immediatamente distinguibili proprio grazie al loro colore, dato dal fatto che le rosse sono abbondantemente vascolarizzate e irrorate e le bianche molto meno. I muscoli costituiti da fibrocellule rosse sono disposti superficialmente, subito sotto la pelle, mentre quelli bianchi, più profondi, sono in numero superiore. In ogni caso, il rapporto tra muscoli rossi e muscoli bianchi varia nelle diverse specie di pesci: ad esempio, nei predatori i muscoli rossi sono circa lo 0.5 per cento dell’intera muscolatura, mentre nei pelagici, instancabili nuotatori, si arriva al 29 per cento.
Nei pesci adulti i miomeri assumono una tipica forma a “W” coricata di fianco. Togliendo con delicatezza la pelle ad una spigola lessa, si notano perfettamente le “W” scure dei miomeri costituiti dalle fibrocellule rosse.

Fibrocellule rosse e bianche

Perché, dunque, fibrocellule diverse nei muscoli dei pesci? Semplicemente perché le fibrocellule rosse e bianche hanno caratteristiche ed effetti diversi. I muscoli costituiti da fibrocellule rosse, infatti, che per comodità chiamiamo muscoli rossi, presentano un’importante vascolarizzazione, sono abbondantemente irrorati e sono caratterizzati dalla capacità di contrarsi in maniera lenta e duratura. I muscoli bianchi, invece, molto meno irrorati (tant’è che sono bianchi), si contraggono in maniera rapida. In sintesi, i muscoli rossi sono adatti ad alte velocità di crociera, sono i muscoli dei pesci pelagici, i migratori, mentre i muscoli bianchi assicurano una forte e veloce accelerazione e sono tipici dei pesci predatori, che devono “acchiappare” la preda con uno scatto dato da una repentina accelerazione. La forza sviluppata da un muscolo bianco è all’incirca quattro volte superiore a quella di un muscolo rosso.

“Stili” di nuoto

Il nuoto dei pesci è in funzione dell’esigenza di tenere una certa velocità per periodi lunghi o dell’indice di velocità che si vuole raggiungere. È un po’ come per le automobili: ci sono automobili con scarsa ripresa, come i vecchi diesel, con cui si può fare il giro del mondo a velocità media sostenuta, e altre che coprono brevi tratti in tempi molto brevi grazie alla fortissima accelerazione. Parlando di nuoto, il discorso è affine, ma deve essere perfezionato: ci sono, infatti, diversi tipi di nuoto, ossia diversi modi di muovere il corpo durante la progressione nel mezzo liquido. Desiderando proporre un esempio anche a riguardo di questo contesto, possiamo dire che un bagnante che si sposta lento in acqua per raggiungere gli scogli dove fa il pieno giornaliero di cozze nuota in maniera diversa da Federica Pellegrini, che, invece, si
Esistono, per i pesci, ben sei “stili” di nuoto: anguilliforme, subcarangiforme, carangiforme, tunniforme, ostraciforme e raiforme.

Il nuoto anguilliforme è quello dell’anguilla, del grongo, della murena e di tutti gli anguilliformi: somiglia un po’ alla progressione del serpente sulla terraferma. Il corpo del pesce partecipa al movimento in tutta la sua lunghezza, con un susseguirsi di ondulazioni a cui l’acqua oppone resistenza. Il risultato è un nuoto lento a bassa velocità.
Il nuoto subcarangiforme, tipico dei salmonidi, presenta leggere ondulazioni corporee, un po’ come nel nuoto anguilliforme, ma le oscillazioni sono di ampiezza molto minore nella parte anteriore del corpo, per aumentare in quella posteriore. La coda del pesce, in grado di aprire i raggi (scientificamente si chiamano lepidotrichi) e, quindi, di aumentare e diminuire la sua superficie, consente bruschi aumenti di velocità e rapide virate.
Il nuoto carangiforme è caratterizzato da ondulazioni ristrette alla zona caudale del corpo del pesce. Movimenti meno ampi formano meno vortici e comportano un minore impiego di energia. Il nuoto carangiforme è tipico di sardine, sgombri, merluzzi e aringhe.
Nel nuoto tunniforme, tipico dei pesci più veloci, come il pesce spada e il pesce vela, la velocità è data da un sistema muscoli-coda, con masse muscolari collegate alla pinna caudale da un sistema di tendini. Inoltre, le vertebre del peduncolo caudale formano un gruppo rigido sul quale la coda del pesce può ruotare.
Il nuoto ostraciforme è tipico di pesci come il pesce palla il pesce scatola e altre specie simili, il cui corpo, per la sua conformazione presso a poco sferica, non è in grado di effettuare ondulazioni laterali. Il moto a zig-zag è dato, alternativamente, da tutta la muscolatura di ciascun lato del corpo. Con una coda dotata di scarse possibilità di articolazione, questi pesci impiegano nel nuoto tutte le pinne (dorsali, caudale, anale e pettorali).
Il nuoto raiforme, che, come si intuisce, è quello dei pesci raiformi, come razze, trigoni ecc., si avvale dell’uso delle espansioni laterali del corpo azionate dai muscoli pettorali. Nella manta e nell’aquila di mare i movimenti dei pettorali fanno rassomigliare queste espansioni ad ali di uccelli che si muovono ritmicamente, in su e in giù, e il suo modo di nuotare assomiglia ad un volo nel cielo liquido dei caldi mari dei Tropici.

 
 

Il nuoto nei cetacei

Come nuotano i cetacei? È un discorso interessante poiché gli stessi cetacei sono interessanti, anzi straordinari! Sono, infatti, animali che hanno avuto origine sulle terre emerse e ad un certo punto della loro storia evolutiva hanno cercato la via dell’acqua perché certamente l’ambiente asciutto per misteriosi motivi era diventato inospitale. Pensate che la balena deriva da un animale terrestre vissuto circa 50 milioni di anni fa, il pakiceto, simile ad un lupo, i cui resti fossili sono stati ritrovati in Pakistan. I cetacei, dunque, ex animali terrestri a quattro zampe, hanno cercato la propria sopravvivenza in acqua, ovviamente evolvendosi in funzione del nuovo ambiente ma lasciando immutate diverse funzioni, come la respirazione polmonare. Il movimento è dato, similmente ai pesci, dalla coda, ma mentre nei pesci la pinna caudale si muove a destra e a sinistra, nei cetacei si muove dall’alto verso il basso e il motivo è semplice: la nostra colonna vertebrale e quella di altri mammiferi terrestri come il cane e il gatto, si flette ampiamente in avanti e molto poco lateralmente. I cetacei hanno conservato la “nostra” colonna vertebrale, che consente loro di muovere la coda sul piano orizzontale e non su quello verticale, come invece si osserva nei pesci.

Bibliografia

C. Agnisola, Fisiologia degli organismi marini, Università di Napoli Federico II; A. Poli, Fisiologia degli animali, Zanichelli; C. Motta, Lezioni di anatomia comparata, Università di Napoli Federico II; G. Ciarcia e G. Guerriero, Lezioni di zoologia, Università di Napoli Federico II; E. Padoa, Manuale di anatomia comparata dei vertebrati, Feltrinelli; Hill, Wyse, Anderson, Fisiologia animale, Zanichelli; Wehner, Gehring, Zoologia, Zanichelli; Hickman, Roberts, Keen, Larson, Diversità Animale, Mcgraw-Hill.

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