Guardia di Finanza – Parte 1

Un’estate con i sommozzatori della Guardia di Finanza del Reparto Operativo Aeronavale di Civitavecchia. Un’esperienza emozionante e indimenticabile con le piovre gialloverdi raccontata dal nostro condirettore

di Umberto Natoli

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I cinque componenti il Nucleo sommozzatori della Stazione Navale di Civitavecchia della Guardia di Finanza. Al centro il Comandante, Maresciallo Aiutante Roberto Dionis. (Foto di Umberto Natoli)

In qualità di condirettore de La Marea Magazine ho avuto il grande piacere e l’onore di poter vivere da vicino e documentare alcune attività degli uomini del Nucleo Sommozzatori della Stazione Navale in sede al Reparto Operativo Aereonavale di Civitavecchia della Guardia di Finanza.

Partecipare alla vita di un corpo militare subacqueo, credo che sia un’esperienza che ogni appassionato d’immersioni vorrebbe provare almeno una volta nella vita. Ci si rende davvero conto di quanto impegno, di quanta preparazione e di quanto allenamento continuo siano necessari per poter svolgere un lavoro così delicato e importante, ma quello che più colpisce un osservatore esterno, come sono stato io, è la straordinaria passione che questi uomini mettono nel proprio lavoro, con una dedizione che va ben al di sopra delle mansioni e dei limiti d’intervento previsti nei regolamenti. Ma non può che essere così. Per accedere infatti alla qualifica di sommozzatore, ed essere poi assegnato ad un reparto operativo, i corsi preparatori sono molto impegnativi e i criteri di selezione, prima per l’accesso e poi per il superamento del periodo d’addestramento, sono molto severi. E infatti per poter affrontare tutto questo, un Finanziere deve avere nel cuore proprio la passione, il fuoco sacro per l’immersione subacquea e un notevole attaccamento al Corpo e al proprio ruolo.

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da sinistra, il Maresciallo Angelo Roberto Maggi e il Finanziere scelto Simone Lampis. (Foto di Umberto Natoli)

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da sinistra, il Finanziere scelto Simone Lampis e il Maresciallo Angelo Roberto Maggi. (foto di Umberto Natoli)

Ma prima di raccontare la mia diretta esperienza, che ovviamente ha riguardato solo interventi di tipo civile, dove potevo essere ammesso e non certo di polizia o di contrasto al crimine o di tipo comunque militare o di soccorso, vorrei dare un’idea di massima su come si arriva ad ottenere la qualifica di sommozzatore della Guardia di Finanza e su come sono strutturati questi nuclei operativi, che oltretutto quest’anno compiono settant’anni dalla loro fondazione e alla cui storia ho dedicato un box all’interno di questo articolo, con l’aiuto del Maresciallo Aiutante a riposo Carlo Argiolas, autore dell’appassionante libro Piovre Gialloverdi, appena uscito.

In Italia operano 16 Nuclei Sommozzatori della Guardia di Finanza che rispondono ai Comandi delle Stazioni Navali dislocate su tutto il territorio nazionale e della Scuola Nautica di Gaeta. I loro compiti, molto specifici e vari, possono essere sintetizzati di massima in attività di polizia economico finanziaria, di polizia giudiziaria e di ordine e sicurezza pubblica, di tutela del patrimonio archeologico sommerso, di controllo e prevenzione di reati contro l’ambiente in acque marine e interne, di concorso alla difesa militare, di messa in sicurezza di ordigni bellici, di collaborazione con altri enti nazionali e internazionali, ad esempio per ricerche scientifiche e ambientali, nonché di collaborazione con le altre Forze Armate e di Polizia e con organi e enti di protezione civile, ai fini di ricerca e salvataggio di vite umane in ambienti sommersi e in interventi in caso di calamità naturali. Svolge anche compiti di supporto tecnico subacqueo e di assistenza e manutenzione alle unità navali e alle strutture sommerse e portuali del Corpo.

Per l’inserimento nei programmi formativi del personale, una preselezione viene effettuata su Finanzieri di età non superiore a 32 anni, tutti su base volontaria, che vengono sottoposti presso la Scuola Navale di Gaeta ad una serie di esami attitudinali di natura fisica, ma anche di tipo psicologico, superata la quale vengono inseriti in un percorso preformativo, molto severo, sempre presso la stessa Scuola, della durata di circa un mese. E’ in questo periodo che si capisce se un giovane, per quanto appassionato e determinato nel voler operare come sommozzatore, possiede realmente le qualità necessarie per poter affrontare costantemente nel tempo un’attività subacquea molto impegnativa, di tipo professionale e militare, come quella a cui verrebbe poi chiamato. Superato questo secondo e importante traguardo, il Finanziere viene poi trasferito presso le strutture del COM.SUB.IN. della Marina Militare a Le Grazie - La Spezia, nella fortezza del Varignano, per il conseguimento del brevetto di O.S.S.P. Operatore Subacqueo Servizio di Polizia. E’ in questa seconda sede, dove sotto la sapiente, esperta e rigorosa guida degli istruttori della Marina Militare, che si forgia la figura definitiva del sommozzatore, sotto il profilo tecnico e mentale. Un percorso dunque lungo, sicuramente molto coinvolgente e impegnativo, ma molto appagante per il lavoro psicofisico che gli allievi fanno su sé stessi e per la soddisfazione del risultato raggiunto.

Per conoscere più da vicino l’interessante vita di questi uomini e documentare la loro quotidianità, mi sono rivolto al mio amico, conosciuto anni fa in occasione di un intervento della Guardia di Finanza in un sito archeologico, il Maresciallo Aiutante Roberto Dionis, responsabile del Nucleo Sommozzatori della Stazione Navale di Civitavecchia, a cui è assegnata la competenza su un vasto territorio interno e costiero del centro Italia. Vederlo all’opera con i suoi uomini e con i suoi mezzi è sempre stato per me, nel tempo, motivo di grande interesse e, devo dire, anche di grande ammirazione. E’ nata così l’idea di raccontare ai nostri lettori l’affascinante vita di questo Nucleo. Mi ha messo quindi in contatto con il suo diretto superiore, il Capitano Aurelio Borgese, Comandante della Stazione Navale, che ha mostrato subito grande cortesia e interesse per il mio lavoro giornalistico, ma a sua volta, come giustamente avviene nelle gerarchie militari, doveva riportare la mia richiesta all’apice del Reparto Operativo Aereonavale di Civitavecchia, comandato dal Colonnello Pilota Camillo Passalacqua, con il quale mi avrebbe messo in contatto. Francamente ero un po’ condizionato dal timore di arrecare disturbo con la mia richiesta ad un Ufficiale di grado così elevato e professionalmente molto impegnato, ma già dal primo incontro ho avuto il piacere di conoscere una persona davvero molto disponibile e collaborativa. Avevo capito che quegli uomini avevano tutti molto piacere che si raccontasse il loro lavoro e che si facesse conoscere un po’ della loro vita.

Ottenute così le necessarie autorizzazioni, iniziò la mia avventura una mattina di giugno presso l’area portuale di Civitavecchia, riservata alla Guardia di Finanza. L’occasione era il recupero di un’anfora romana da parte della Soprintendenza archeologica competente di zona e un sopralluogo valutativo su un grosso vaso della stessa epoca, dalla bocca molto larga, trovato nelle vicinanze; il Nucleo Sommozzatori doveva fornire le imbarcazioni e il supporto logistico. L’intervento rivestiva carattere di urgenza, in quanto il reperto era stato già manomesso e in parte già scavato dal fondale detritico caratterizzato anche da rizomi di posidonia e praticamente era pronto per essere trafugato.

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Le fasi di scavo e recupero di un’anfora romana di epoca repubblicana, curate personalmente dal Comandante del Nucleo, Maresciallo Aiutante Roberto Dionis. Il reperto è stato imbragato in una rete che ne protegge la fragile struttura durante la manovra di rimozione dal fondo. I sommozzatori della Guardia di Finanza sono adeguatamente preparati e attrezzati per interventi di questo tipo, sia come Polizia del Mare su reperti a rischio di essere trafugati, sia in ausilio ad istituzioni archeologiche. (Foto archivio GdF)

L’area della Guardia di Finanza sembra un set di un film d’azione. Imbarcazioni militari, compressori, bombole, attrezzature subacquee professionali. E’ qui che conosco gli altri uomini del Nucleo, cinque in tutto, di cui tre subacquei operativi: oltre al comandante, il Maresciallo Aiutante Roberto Dionis, il Maresciallo Angelo Roberto Maggi e il Finanziere Scelto Simone Lampis e due uomini di supporto, addetti anche alle manovre delle imbarcazioni, il Vice Brigadiere Mauro Maestrale e l’Appuntato Scelto Stefano De Giorgi. Alla squadra è assegnato stabilmente un battello pneumatico di 6,70 metri di lunghezza fuori tutto, trasportabile con carrello e, all’occorrenza, sono a disposizione una motovedetta classe “V.2000” di 13 metri e un guardacoste classe “Corrubia” di 27 metri. Per gli spostamenti a terra con gommone al seguito, è assegnato un capiente mezzo operativo logistico, un furgone IVECO appositamente allestito, in grado di trasportare tutto l’equipaggiamento dell’intero Nucleo, compresa eventualmente molta altra ingombrante attrezzatura di supporto, che secondo necessità dovesse occorrere, poi una mini officina per interventi tecnici sul campo, un compressore per la ricarica delle bombole, un cucinino, un bagno e una doccia; il mezzo dispone anche di aria condizionata con regolazione per il caldo e per il freddo.

Usciamo con due gommoni e i cinque uomini della squadra. A bordo siamo quattro civili, la Funzionaria archeologa Dott.ssa Barbaro più due suoi assistenti subacquei e io armato di macchine fotografiche. La profondità è molto bassa, circa 8 metri. Purtroppo il mare cattivo dei giorni precedenti e la vicinanza alla foce di un canale fangoso avevano ridotto fortemente la visibilità. Oltretutto l’azione dei subacquei attorno al reperto rende l’acqua ancora più torbida e svaniscono le mie speranze di fare qualche bella foto. Con il Finanziere Scelto Lampis ci spostiamo verso una radura detritica sull’altro reperto e scorgo la grande bocca del vaso che spunta appena dalla sabbia del fondo e dalle foglie morte di posidonia. Qui l’acqua è leggermente più trasparente e, prima che arrivino gli altri, riesco a fare un paio di scatti. Torniamo in superficie e la Funzionaria archeologica propone di rimandare il recupero a condizioni di visibilità migliori, constatata l’oggettiva impossibilità di procedere alle operazioni d’imbragatura. Effettivamente attorno all’anfora non si riusciva a scorgere la punta delle proprie mani. Il Maresciallo Dionis però insiste ed è molto fermo nel suo intento. Il dovere della Guardia di Finanza è quello di mettere in sicurezza il patrimonio archeologico sommerso e intervenire se un reperto è stato già messo in pericolo dall’attenzione e delle azioni dei clandestini, come in questo caso. Da un momento all’altro sarebbero sicuramente tornati per trafugarlo. Non si può rimandare. Assolutamente no. Occorre procedere al recupero. Riesce a convincere la Dott.ssa Barbaro, che autorizza l’intervento e così i tre Finanzieri riscendono in immersione. Provo a seguirli, ma davanti a me trovo un muro di sospensione quasi impenetrabile e in verità un po’ angosciante e decido di riemergere, anche per non disturbare la loro azione. Mi chiedo come possano operare in quelle condizioni impossibili, ma trascorsi una decina di minuti uno dei tre riemerge con una cima in mano che passa ai colleghi a bordo. Dopo un po’ da sotto la superficie spunta un pallone di sollevamento, che tratteneva l’anfora perfettamente imbragata in una grossa rete di sicurezza, prontamente issata a bordo. Rimasi stupito. La messa in sicurezza del reperto era stata fatta a regola d’arte e praticamente al buio e per di più in poco tempo. Ricordo lo sguardo di gratitudine della Dott.ssa Barbaro e toccai con mano la straordinaria abilità e preparazione di questa squadra.

Poi, tornati in porto, a me e agli archeologi, ci aspettava una graditissima sorpresa: un tavolo apparecchiato davanti al box della squadra dei sommozzatori, dove tra mille attrezzature subacquee da far invidia all’antro del Capitano Nemo di 20.000 leghe sotto i mari, c’è anche un cucinino per il personale. Il Maresciallo Dionis ci comunica che ci aveva fatto preparare un piccolo spuntino, giusto per fermare l’appetito. Dalle sue parole, ovviamente, ci aspettavamo solo un panino e una bottiglietta di acqua minerale. Ma la sua bugia fu subito smentita. Dalla porta del box irruppe Il Vice Brigadiere Mauro Maestrale, ottimo cambusiere, con un grande pentolone fumante, contenente una favolosa pasta alle vongole e ai pomodorini secchi, impreziosita dai capperi che crescono spontanei sul muraglione antico che sovrasta la base navale. E non finì li. Seguì una squisita grigliata di pesciolini e crostacei. Per non perdere la fragranza della pasta caldissima e appena scolata, rimasi con indosso la muta stagna aperta e sbracciata nella parte superiore, ma stavo benissimo. C’erano tutti gli uomini del Nucleo e il Comandante della Stazione Navale Capitano Aurelio Borgese. Ci raggiunse poco dopo il Colonnello Pilota Camillo Passalacqua con altri Ufficiali per un saluto. Io e il gruppo di archeologi eravamo felici e onorati di condividere con questa fantastica squadra un momento conviviale così semplice, ma per me intenso e bellissimo.

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Il Finanziere Scelto Simone Lapis effettua un sopralluogo su un manufatto di epoca romana nel Mare Tirreno dell’Alto Lazio, segnalato a rischio di trafugamento. (Foto di Umberto Natoli)

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Un ceppo di piombo di epoca romana appena recuperato. (Foto archivio GdF)

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Un sopralluogo valutativo nelle acque delle isole pontine sul rischio di trafugamento del carico di un relitto di epoca romana che trasportava materiale lapideo. (Foto archivio GdF)

Messa in sicurezza di ordigni bellici nelle acque di Civitavecchia RM (Foto archivio GdF)

Liberazione di una tartaruga

Tra i compiti del Nucleo Sommozzatori ci sono anche interventi di tipo ambientale e l’occasione di partecipare ad una operazione di questo tipo si è presentata quando dovevano riportare in mare una giovane tartaruga della specie Caretta caretta, che era stata trovata ferita e impigliata in un filaccione. I soccorritori erano stati costretti ad amputargli una zampa, perché fortemente compromessa, poi, curata per alcuni mesi, doveva essere riportata e rilasciata nella zona di mare dove era stata trovata, per poter riprendere il suo itinerario. I veterinari che se ne sono occupati hanno valutato che la tartaruga sarebbe stata nuovamente in grado di nuotare e di alimentarsi in autonomia, e quindi aveva ottime possibilità di sopravvivere, nonostante l’importante menomazione dovuta alla mancanza della zampa anteriore sinistra.

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La liberazione di una piccola tartaruga raccolta ferita da un pescatore, e curata per alcuni mesi dal centro veterinario della struttura Zoomarine di Torvaianica RM, è stata l’occasione per organizzare una piccola cerimonia, presenti alcune autorità e media, per promuovere la cultura dell’ambiente e la difesa del mare. La Stazione Navale di Civitavecchia ha curato tutta l’operazione di rilascio a mare, con l’intervento di due imbarcazioni. Il secondo da sinistra, il Colonnello Pilota Camillo Passalacqua, Comandante del Reparto Operativo Aereonavale di Civitavecchia. (Foto di Umberto Natoli)

L’appuntamento era al porto di Anzio e al rilascio a mare del piccolo rettile erano presenti anche la stampa locale e alcune autorità, che avevano organizzato un piccolo evento in proposito, per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della difesa del mare e sulla protezione delle specie che lo abitano.

Era una giornata molto calda e la piccola tartaruga era stata coperta con un panno mantenuto sempre bagnato per non fargli aumentare la temperatura corporea. La veterinaria che l’accompagnava, molto protettiva, ha concesso a me e agli altri giornalisti solo qualche foto per non stressare l’animale. Usciamo con due imbarcazioni e scendo in acqua con il Maresciallo Maggi e ci portiamo sotto lo specchio di poppa dell’altra imbarcazione, dalla quale è previsto il rilascio, mentre in superficie rimane il finanziere Lampis ad assistere la veterinaria e il Comandante del Nucleo, il Maresciallo Aiutante Dionis a coordinare le operazioni. Il rilascio avviene in pochi attimi e riesco a scattare al volo solo due foto, una esterna a pelo d’acqua nel momento del rilascio e l’altra subacquea mentre la piccola tartaruga si allontana velocemente. Un piccolo intervento, ma di grande valore educativo per promuovere la cultura dell’ambiente e la sua difesa, a cui la Guardia di Finanza è sempre chiamata a partecipare e a sostenere.

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La piccola tartaruga è stata portata con una motovedetta nello stesso tratto di mare dove era stata trovata da un pescatore e soccorsa. (Foto di Umberto Natoli)

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La piccola tartaruga poco prima del rilascio, con il gruppo di Finanzieri e la veterinaria che l’ha curata. A destra nella foto, con la maglia bianca, il Maresciallo Aiutante Roberto Dionis, responsabile del Nucleo Sommozzatori della Stazione Navale di Civitavecchia. (Foto di Umberto Natoli)

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Il momento concitato del rilascio della piccola tartaruga, che non appena ha sentito la vicinanza dell’acqua del mare ha cominciato a muovere vigorosamente le zampe. Tutto è avvenuto in pochi secondi. Sullo specchio della motovedetta il Finanziere Scelto Simone Lampis assiste la veterinaria che passa il piccolo rettile nelle mani del Maresciallo Angelo Roberto Maggi, che si trova in acqua, e che procede immediatamente alla liberazione. (Foto di Umberto Natoli)

Intervento nel sito archeologico sommerso del Gran Carro nel lago di Bolsena

Un’altra occasione per vivere intensamente una giornata con il Nucleo, si è presentata a fine luglio, quando la Funzionaria archeologa Dott.ssa Barbaro, aveva programmato una grande campagna di scavo di diversi giorni nel villaggio villanoviano sommerso della prima età del Ferro, denominato Gran Carro, nel lago di Bolsena a circa tre metri di profondità e in alcuni punti anche meno. Il sito su cui gli archeologi dovevano operare è piuttosto esteso e si trova nell’immediata vicinanza delle rive del lago. Considerando appunto la bassissima profondità e la grande facilità di accesso, la presenza di numerosissimi reperti progressivamente scoperti durante le operazioni di rimozione del limo e della sabbia del fondo con la sorbona e lasciati in situ per i necessari rilievi stratigrafici prima del recupero, avrebbe molto probabilmente attirato l’attenzione di cacciatori di tesori archeologici senza scrupoli, soprattutto di notte. La Guardia di Finanza era stata appunto chiamata a presidiare la zona per tutto il periodo, sia durante lo svolgimento dei lavori, sia durante le ore di pausa, sicuramente più a rischio. Erano presenti con il loro il mezzo operativo logistico IVECO e con uno dei gommoni, utilizzato sia per i controlli esterni, sia come imbarcazione di appoggio ai tre sommozzatori che presidiavano il sito sott’acqua, per scongiurare qualsiasi intrusione di eventuali subacquei clandestini.

Ebbi la possibilità di unirmi al gruppo per un giorno e poter così documentare il loro lavoro. Cercai di muovermi il più discretamente possibile e misi tutta la mia abilità subacquea per controllare il giusto assetto e un perfetto trim, nonostante dovessi brandeggiare anche l’ingombrante attrezzatura fotografica, sia per non alterare con le pinne la delicata stratigrafia appena scoperta dallo scavo, con i reperti affioranti dal limo finissimo del fondo, sia per non intralciare il lavoro degli archeologhi impegnati a turno a manovrare la sorbona, a effettuare rilevazioni, misurazioni, catalogazioni e il prelievo dei reperti che venivano concentrati in alcune ceste, per poi essere portati a fine giornata in superficie. Insomma dovevo stare molto attento a non combinare guai. L’emozione di trovarmi a pochi centimetri da testimonianze di popoli vissuti circa tremila anni fa ed appena riportate alla luce è stata fortissima.

Mi affiancai in immersione al Maresciallo Maggi e al Finanziere Scelto Lampis, che avevano il compito di pattugliare il perimetro esterno dell’area di scavo. Partiamo dalla riva del lago, dove è allestito il cantiere archeologico e la base operativa mobile del Nucleo dei sommozzatori della Guardia di Finanza e dopo una breve nuotata giungiamo alla struttura di tubi metallici sommersi che delimita il cantiere sommerso. La profondità è irrisoria, da circa due metri e mezzo a tre e proprio per questo è difficile muoversi senza alzare sospensione. In superficie, sul gommone, si trova il Maresciallo Dionis, il Vice Brigadiere Maestrale e l’Appuntato Scelto De Giorgi. I due Finanzieri subacquei con i quali mi ero immerso, si portano dietro anche due sofisticati metaldetector, così, durante gli spostamenti per il lavoro di sorveglianza, possono passare gli strumenti su alcune zone dell’area, dando anche un aiuto alle attività di ricerca e segnalando eventualmente agli archeologhi i punti dove hanno rilevato la presenza di oggetti metallici, mettendoli così in grado di procedere ad uno scavo mirato. E’ stupefacente e addirittura entusiasmante la quantità e la concentrazione di reperti che affiorano dal lavoro di rimozione dei sedimenti. Sono prevalentemente manufatti in terracotta di uso quotidiano, ma anche in metallo, tanto che sono stati trovati addirittura bronzetti sardi, incredibilmente giunti fin qui in quell’epoca lontanissima, circa il IX secolo a.C..

Alla fine di una lunghissima e bellissima immersione, ma anche di ore di lavoro impegnative, il gruppo, di cui anch’io faccio parte, si è riunito attorno al tavolo del cantiere per un semplice, ma ottimo pasto, preparato sul campo dagli archeologhi, ma anche in quest’occasione il Vice Brigadiere Maestrale, ottimo cuoco, non è stato solo a guardare.

Alla fine di questo momento conviviale e di relax, il Maresciallo Dionis e i suoi uomini hanno ripercorso i ricordi della loro affascinante vita fatta di momenti molto belli, ma anche di momenti molto impegnativi e dolorosi, comunque sempre appaganti per un militare. In particolare ha ricordato i concitati e delicati interventi sul relitto della nave Costa Concordia, dove è stato messo a dura prova il controllo del loro equilibrio emozionale a stretto contatto con la tragedia delle tante vittime del naufragio e per le tante ore d’intervento, senza sosta, ai limiti delle forze, data la drammaticità dell’emergenza. Ma hanno anche affermato, con orgoglio, che è proprio in questi frangenti che un Finanziere è chiamato a saper convertire in azioni positive e concrete il turbamento, lo stress fisico e le forti emozioni che inevitabilmente nascono nell’animo umano davanti a tanto dolore.

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Controlli di superficie e subacquei durante i lavori di studio e scavo archeologico da parte della Soprintendenza archeologica sul sito villanoviano sommerso della prima età del ferro, denominato Gran Carro nel lago di Bolsena. La grande estensione dell’area, molto vicina alla riva del lago, e la bassissima profondità, avrebbero potuto attirare cacciatori di tesori clandestini, specialmente nelle ore di pausa dei lavori. La presenza della squadra di sommozzatori della Guardia di Finanza ha assicurato la protezione dei numerosi reperti che man mano venivano alla luce grazie al lavoro delle sorbone. (Foto di Umberto Natoli)

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Durante le immersioni di controllo subacqueo del cantiere di scavo del sito archeologico sommerso del Gran Carro del lago di Bolsena, i Finanzieri hanno anche effettuato dei passaggi con metaldetector sul fondale, segnalando agli archeologhi eventuali presenze di materiale metallico sepolto sotto il limo, per poter poi consentirgli di effettuare alcuni scavi mirati. (Foto di Umberto Natoli)

Ricordo di un importante intervento del 2001. La ricerca e ritrovamento del relitto dell’Andrea Sgarallino

Ha ricordato poi, tra i tanti episodi del passato, un’esperienza che gli sta particolarmente a cuore: il ritrovamento nel settembre 2001 del relitto dell’Andrea Sgarallino, il traghetto di 60 metri della rotta Piombino Portoferraio - Isola d’Elba, affondato da un sommergibile inglese il 22 settembre 1943, dove perirono 295 civili. Dopo lunghe e impegnative ricerche lo scafo fu finalmente trovato, con grande soddisfazione, tra i 55 e i 63 metri di profondità. La ricerca, il ritrovamento e l’esplorazione fu effettuata dalla Guardia di Finanza di Livorno, coordinata dallo stesso Maresciallo Dionis, con i sommozzatori della Lega Navale Italiana di Piombino e si concluse con la posa di una targa ricordo sullo scafo. Furono organizzate per la fase esplorativa tre immersioni della durata di 15 minuti di fondo e 20 minuti di decompressione con miscele iperossigenate. Oggi l’affascinante relitto è meta di immersioni di subacquei tecnici.

Alla fine di questa lunga giornata si erano conclusi gli incontri che avevamo programmato con il Nucleo Sommozzatori della Guardia di Finanza di Civitavecchia per la redazione di questo articolo e sinceramente un po’ me ne dispiacque, ma oltre alla consolidata amicizia con il Maresciallo Dionis, questa bellissima esperienza mi aveva regalato nuovi amici tra i Finanzieri di questo fantastico gruppo, di cui porterò sempre il ricordo della straordinaria qualità del loro lavoro e della grande passione che li anima e resterò sempre a disposizione per seguirli attraverso le pagine de La Marea Magazine, per continuare ad affascinarci e a onorarci con le loro storie e la loro vita.

Il relitto del piroscafo Andrea Sgarallino, affondato il 22 settembre 1943, dove perirono 295 civili, come apparve al momento del ritrovamento nel 2001 su un fondale di 63 metri. Le operazioni di ricerca e le immersioni esplorative furono effettuate dalla Guardia di Finanza congiuntamente con i subacquei della Lega Navale Italiana di Piombino. (Foto archivio GdF)

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La targa ricordo delle 295 vittime dell’affondamento del piroscafo Andrea Sgarallino, posta sul relitto dalle squadre congiunte dei sommozzatori della Guardia di Finanza e della Lega Navale Italiana di Piombino. (Foto archivio GdF)

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