Uno dei problemi storici che attanaglia da sempre i fotografi subacquei è il pericolo del mancato sincronismo tra i flash e la fotocamera, se direttamente stagna, oppure, come nella quasi totalità dei casi, se inserita in una custodia stagna, dovuto al mal funzionamento dei cavi di collegamento.
Facciamo un piccolo accenno di storia, per capire l'evoluzione tecnica dei sistemi di accensione di un lampeggiatore in ambiente sommerso. Dai gloriosi anni cinquanta, quindi dai primordi della fotografia subacquea, fino a metà degli anni ottanta, quando si usavano i flash a lampadine, si ricorreva all'uso di un cavo elettrico. Oltre ai possibili malfunzionamenti sul passaggio di corrente, di cui poi accenneremo, i mancati scatti erano frequentissimi, perché bastava un po di ossido sul filamento delle lampadine, che, ricordiamo, non erano altro che tipi per uso terrestre, adattati all'uso subacqueo, come ad esempio le allora comunissime PF1 Philips o XM1 Osram, e il contatto non avveniva.
Poi, dopo quegli anni pionieristici, con la progressiva diffusione dei modelli di flash elettronici, il collegamento con la fotocamera è stato affidato ad un cavo elettrico costituito in genere da cinque pin, più sofisticato di quello dei precedenti flash a lampadine, che oltre a trasmettere il segnale elettrico per lo scatto, consentono anche di far dialogare i due circuiti.
In pratica gli automatismi esposimetrici della fotocamera, che intervengono anche nel dosare la quantità di luce artificiale emessa da un flash, interrompendo l'emissione luminosa quando ritenuta sufficiente ed equilibrata per quella determinata inquadratura, possono essere replicati e controllati anche su un flash subacqueo esterno, che ovviamente deve disporre di un circuito interno predisposto. Infatti oggi la maggior parte dei modelli di lampeggiatori subacquei, rispondono a questi criteri, e consentono il doppio funzionamento, che può essere, in alternativa, o totalmente automatico, oppure manuale impostabile su varie potenze, a discrezione del fotografo.
Dobbiamo dire che questi cavi a trasmissione elettrica hanno dimostrato nel tempo di funzionare bene, e ancora oggi sono molto utilizzati; tuttavia necessitano di una certa manutenzione, e occorre inevitabilmente intervenire ogni due o tre immersioni, pulendo e lubrificando le guarnizioni o-ring di tenuta stagna delle boccole di collegamento. Se questa manutenzione non viene effettuata, può essere elevato il rischio di infiltrazioni d'acqua, e di innescare di conseguenza un trigger elettrico, ossia una dispersione di corrente, o peggio un cortocircuito, oltre ovviamente a causare il danneggiamento per ossidazione delle componenti metalliche interne.
Il passo successivo, e fortemente innovativo, è stata l'introduzione della tecnologia delle fibre ottiche da parte dei produttori di flash subacquei, che funzionano perfettamente sott'acqua e sono assolutamente inattaccabili dalla corrosione marina.
In pratica tutti i modelli di lampeggiatori oggi in commercio dispongono di una o più finestrelle stagne trasparenti, in vetro o plexiglass, per consentire il passaggio del fascio di luce, emesso appunto da un cavo a fibre ottiche che va ad attivare la fotocellula. Questo è collegato, dal polo opposto, ad un'altra analoga finestrella ricavata in una custodia subacquea di una fotocamera, come si vede dalle foto, dietro la quale arriva il fascio di luce emesso direttamente dal flash incorporato nella fotocamera stessa che vi è alloggiata. I vantaggi sono notevoli, perché, oltre a semplificare l'attrezzatura, non vi sono collegamenti di cavi elettrici, con la possibilità, come abbiamo visto, di una dispersione di corrente e di un allagamento. Oltretutto la fibra ottica trasmette tutti i funzionamenti esposimetrici della fotocamera, e quindi, in alternativa, si può scegliere, o di affidarsi completamente agli automatismi che controllano la quantità di emissione di luce, oppure si possono impostare a mano vari livelli di potenze, esattamente come nel caso in cui si usino i cavi elettrici. Oggi è sicuramente il sistema più avanzato e consigliabile per collegare un flash subacqueo. Tuttavia occorre fare chiarezza su quale tipo di cavo a fibre ottiche scegliere, che caratteristiche deve avere, e come va tenuto per assicurare la necessaria affidabilità nel tempo..
Abbiamo voluto approfondire la conoscenza di questa importante componente dell'attrezzatura di un fotografo subacqueo, in un incontro con l'Ing. Giovanni Vinci, responsabile tecnico della MET Fibre Ottiche di Roma, società altamente specializzata nel settore, e con il titolare Mattia David.
Innanzitutto, ci hanno spiegato, prima di dare qualche consiglio pratico sul loro utilizzo, è importante conoscere come funziona la trasmissione della luce in questo tipo di cavi, tecnicamente definiti POF Plastic Optic Fiber, realizzati in MMA metametilmetacrilato, ovviamente trasparente.
Senza entrare in tecnicismi complessi, circoscriviamo l'argomento all'unica tipologia che può interessare un fotografo per questo tipo di utilizzo, e che oltretutto è la più semplice. Questa è costituita da un solo cavo, di 1 mm di diametro, denominato tecnicamente core, che ha appunto la caratteristica di trasmettere la luce. Il cavo, a sua volta, è avvolto in un rivestimento, chiamato cladding, con indice di rifrazione più alto del cavo stesso, che, in parole molto semplici, svolge la funzione di evitare la dispersione della luce. Poi la parte esterna è protetta contro le sollecitazioni meccaniche da una guaina, detta buffer.
Quindi vediamo il funzionamento. Il flash della fotocamera emette un fascio di luce dello spettro visibile costituito da fotoni nel range 400-700 nm (nanometri) che attraversano il cavo e vanno a investire la fotocellula del flash costituita in genere da un fotodiodo al silicio sensibile al range 400-1100 nm (nanometri). Questo ha la capacità di trasformare i fotoni (energia ottica) in cariche elettriche (effetto fotoelettrico), che se raccolti in quantità sufficiente, innescano il flash.
Ora dobbiamo fare una considerazione, che cerchiamo di spiegare in termini estremamente semplici e sintetici. Il fascio di fotoni, per effetto voluto, entra nel cavo con un angolo di immissione, ossia con un indice di acquisizione N.A. ( angolo di apertura numerica ) di circa 60°. Questi fotoni verranno catturati e riflessi “ n “ volte all'interno del cavo, fino ad uscire dalla parte opposta con lo stesso angolo di immissione, come si può desumere dallo schema a corredo di quest'articolo. La luce che non entra secondo l'angolo di 60° andrà invece dispersa. Questo spiega la funzione del rivestimento chiamato cladding, che ha un indice di rifrazione più alto, e non consente appunto la dispersione dei fotoni.
Quanto detto ci fa capire che un cavo crepato o sfibrato, o come si suol dire, criccato per un'eccessiva piegatura o sollecitazione, non consente più un ottimale trasmissione della luce, perché si vanno ad alterare i necessari e citati angoli di riflessione del fascio dei fotoni nel loro percorso.
Comunque è da tenere presente che, fortunatamente, l'MMA, ossia il metilmetacrilato è un materiale molto flessibile e resistente, e quindi in un uso normale, anche intenso, è molto difficile che si danneggi, ed è anche in grado di sopportare qualche sollecitazione.
Ed ora veniamo ad un aspetto delicato, ma molto importante nell'assicurare un buon funzionamento di un cavo a fibre ottiche. E' assolutamente necessario che le due parti terminali del core, quindi dell'anima vera e propria del cavo, siano tagliate con estrema precisione, senza sfibrature o microfratture, quindi con cesoie di precisione. Successivamente la superficie delle due terminazioni deve essere rifinita in modo accurato, ossia lucidata per assicurare la massima trasparenza. In genere si procede con un primo passaggio su una mola con un disco a grana media per eliminare le imperfezioni più grossolane del taglio, poi si effettua un secondo passaggio con un disco a grana finissima per ottenere il migliore risultato possibile in termini, come abbiamo detto, di lucidità e quindi di trasparenza.
Se questa lavorazione finale non viene effettuata a dovere, il cavo non sarà in grado di trasmettere la massima quantità di luce che potenzialmente potrebbe far passare. Per far capire meglio il concetto, l'Ing. Vinci ha fatto il semplice esempio di un vetro, che se perfettamente pulito e non graffiato o scheggiato, può far passare una grande quantità di luce, ma se invece risulta molto sporco o presenta graffi e fratture, trasmette una quantità di luce decisamente inferiore.
Ora da parte nostra facciamo una doverosa considerazione. Una fibra ottica, anche della migliore qualità, come appunto quelle offerte dalla MET Fibre Ottiche, per una lunghezza di circa 1 /1,5 m, la misura appunto di cui necessita in genere un fotografo subacqueo, considerando la lunghezza media dei bracci dei flash, può costare al massimo qualche decina di euro, ovviamente tagliate e rifinite come abbiamo appena descritto. A queste vanno aggiunti i costi dei connettori, che si aggirano sui 6 euro l'uno. Quindi un cavo completo, di buona qualità, dovrebbe costare non più di 25/30 euro. Purtroppo, invece, questi componenti sono oggetto di una notevole speculazione da parte dei produttori di flash e custodie, che applicano ricarichi ingiustificati che arrivano tranquillamente a superare 70/80 euro. Esistono sul mercato anche prodotti più economici di scarsissima qualità, che vengono proposti su Internet dai mercati del sol levante, che dopo un po di uso non funzionano più, perché si piegano e si danneggiano facilmente, e sono decisamente da evitare.
Va precisato, inoltre, che due produttori molto noti di flash, la Sea&Sea e la Wifine, offrono oltre ai modelli base di cavi, un tipo tecnicamente più avanzato, costituito da multifibre, nei quali la trasmissione della luce passa attraverso un fascio di ben 613 microfibre. Questo sistema, che effettivamente giustifica un costo più alto del cavo, assicura un ritorno estremamente preciso della luce che dal flash ritorna alla fotocamera che comanda il funzionamento della funzione TTL, in particolare nei modelli più sofisticati e aggiornati.
Comunque, per un uso generale, ci sentiamo di consigliare decisamente il “fai da te”, acquistando, come abbiamo detto, i connettori al prezzo di circa 6 euro l'uno, e poi i cavi presso una ditta specializzata, come appunto la MET Fibre Ottiche, che assicurano la massima qualità e un ricarico onesto, e si può star sicuri di disporre di un accessorio affidabile, robusto e in grado di funzionare per molti anni. L'importante è che il venditore li fornisca con i due terminali ben tagliati e lucidati, come abbiamo già descritto, evitando assolutamente tagli grossolani effettuati, ad esempio, con un comune paio di forbici.
Un ultimo consiglio. L'esperienza ci induce a sconsigliare i cavi a fibre ottiche spiralati, anche se molto diffusi, perché tendono ad attorcigliarsi su se stessi, e con l'uso, sono soggetti più facilmente a criccarsi.
Per informazioni ci si può rivolgere alla MET Fibre Ottiche, Via Pietro Aretino 79 Roma 00137 – tel. 06 99922614 info@metfibreottiche.com