Alert a prevenzione prima di tuffarsi in acqua

Da giorni, correlato ad alcuni eventi infausti, è aumentato l’allarme riguardante la sincope o sindrome di idrocuzione (od idrocussione): morte inaspettata dovuta a immersione in acqua fredda.

Ad evitare il diffondersi di miti e false informazioni, ospitiamo il prezioso contributo del Dott. Matteo Paganini, Specialista in Medicina d’Urgenza dell’Università degli Studi di Padova.

 

Alert ad una adeguata prevenzione prima di tuffarsi in acqua

L’annegamento viene definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come una situazione in cui vi sia compromissione dell’apparato respiratorio dovuta a immersione/sommersione in un liquido, e vanta purtroppo dei primati poco brillanti. Si tratta infatti della terza causa di morte accidentale al mondo. L’OMS in particolare stima 375.000 annegamenti all’anno, ovvero circa 40 persone ogni ora. Si ritiene inoltre che questi tassi siano sottostimati e verosimilmente 4 o 5 volte più alti, poiché decessi conseguenti ad alluvioni o disastri navali non vengono solitamente registrate come annegamenti. Il fatto che questo evento sia largamente prevenibile con azioni mirate – tra cui incrementare l’educazione al nuoto e alla sicurezza sugli specchi d’acqua – rende l’annegamento un problema di sanità pubblica a livello globale.

 

 

La fisiopatologia dell’annegamento è solo in parte conosciuta e tutt’ora oggetto di fervente studio, la cui comprensione sempre migliore consente di aggiornare le strategie di soccorso e trattamento in emergenza di questi soggetti.

La maggior parte degli annegamenti avviene in acqua con temperatura più fredda di quella corporea. Un caso particolare è rappresentato dall’entrata rapida in acqua molto fredda, ed è definita in ambito scientifico “cold shock response”. I recettori per il freddo presenti sulla pelle, ricevuto uno stimolo legato al calo drastico di temperatura, inviano dei segnali fino al cervello che provocano due tipi di variazioni: a livello cardiovascolare e dell’apparato respiratorio.

 

 

il COINVOLGIMENTO CARDIOVASCOLARE

Nel primo caso, si crea un conflitto tra sistema nervoso simpatico (stimolato dalla reazione di paura, oltre che dal contatto col freddo) che produce vasocostrizione periferica, aumento della gittata e della frequenza cardiaca, con il sistema nervoso parasimpatico (stimolato in particolare dal contatto dei recettori posti sul volto, afferenti al cervello tramite nervo trigemino) che tende invece a provocare un rallentamento della frequenza. Questo conflitto predispone allo sviluppo di aritmie cardiache: un’immersione improvvisa in acqua fredda, inclusa la faccia e trattenendo il respiro, genera aritmie con una frequenza dell’82% dei casi, rispetto al 2% riportato durante immersioni simili ma con testa fuori e respiro libero. Aritmie non maligne sono state ampiamente registrate in studi di fisiologia effettuati su sportivi sani, in particolare apneisti, che dimostrano di saper tollerare valori di ossigeno del sangue anche criticamente bassi (fino a 18 mmHg). E’ molto probabile che questi fenomeni degenerino in risposte inappropriate e aritmie maligne in soggetti con patologie predisponenti, come ad esempio coloro che soffrono di anomalie della ripolarizzazione cardiaca (specie del tratto QT, congenite o dovute a farmaci) o hanno fattori di rischio cardiovascolare (cardiopatia ipertensiva o ischemica, ipertrofia miocardica, aterosclerosi). Tuttavia, poco è ancora conosciuto nel settore, specialmente cosa possa trasformare aritmie benigne in maligne.

 

L’impatto sull’APPARATO RESPIRATORIO

Dall’altro lato, lo stimolo da immersione rapida in acqua fredda – anche qui, specie se viene coinvolta la faccia – agisce sul centro respiratorio cerebrale con aumento della frequenza respiratoria e “gasping”, diminuendo quindi la capacità di trattenere il respiro e aumentando la possibilità di inalazione involontaria d’acqua. Inoltre, vi è la possibilità di una reazione spontanea di chiusura delle corde vocali – detta laringospasmo – dovuta a vari stimoli tra cui l’azione irritativa dell’acqua sulle alte vie aeree. Il laringospasmo isolato tuttavia è stato comunque escluso dalle cause di annegamento dalle linee guida più recenti, in quanto le fasi successive dell’annegamento ne provocano la risoluzione, che da’ luogo all’inondazione delle vie aeree inferiore come in tutti gli altri casi di annegamento. Infine, alle modifiche respiratorie contribuiscono altri meccanismi ancora poco chiari, come reazioni involontarie di deglutizione, nel probabile tentativo di introdurre aria o rimuovere liquidi dalla faringe durante le fasi precoci dell’annegamento.

 

ASPETTI PSICOLOGICI

Non sono infine da trascurare gli aspetti psicologici. E’ infatti noto come l’entrata improvvisa in acqua inaspettatamente fredda, specie se con correnti forti (ad esempio in fiumi e torrenti), l’urto con oggetti inaspettati sott’acqua (ostacoli, fango/melma, animali) o l’improvvisa sensazione di non toccare il fondo come ad esempio nei laghi possa provocare attacchi di panico, che rendono inefficace il nuoto anche nel caso di esperti. Basti pensare che circa l’80% delle morti che avvengono durante il triathlon si concentra nella fase di nuoto, molto spesso legate ad attacchi di panico, e specie nelle fasi di ingresso in massa in acqua.

 

CONCLUSIONI

In conclusione, l’annegamento è un fenomeno molto complesso ma prevenibile specie con azioni di educazione a livello di popolazione. Un’adeguato addestramento al nuoto e l’accortezza di non entrare di colpo in acqua, evitando tuffi in acque fredde, specie dopo l’alimentazione o l’assunzione di alcolici, sono decisivi nella prevenzione degli incidenti, fatali e non. Occorre privilegiare quindi l’entrata progressiva in acqua, che permette al corpo di adattarsi alla temperatura e all’inaspettato ambiente sotto tutti i punti di vista: cardiovascolare, respiratorio, e psicologico.

 

Matteo Paganini

Specialista in Medicina d’Emergenza e Urgenza

Laboratorio di Fisiologia Respiratoria e Ambientale, Dipartimento di Scienze Biomediche, Università degli Studi di Padova

 

 

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Bibliografia

  • Bierens, J. J. L. M. (2014). Drowning: Prevention, Rescue, Treatment. Berlin: Springer Verlag.
  • Szpilman D, Morgan PJ. Management for the Drowning Patient. Chest. 2021 Apr;159(4):1473-1483. doi: 10.1016/j.chest.2020.10.007.
  • Bierens JJ, Lunetta P, Tipton M, Warner DS. Physiology Of Drowning: A Review. Physiology (Bethesda). 2016 Mar;31(2):147-66. doi: 10.1152/physiol.00002.2015.

 

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