Le ragioni di un virus

di Mariano Marmo

Durante questo periodo pandemico sarà capitato a molti di voi di mettere ordine tra le cose conservate nei cassetti e nelle librerie. In bilico su sedie o scaletti vi saranno capitati tra le mani alcuni testi universitari caduti nell’oblio dopo gli affanni degli esami.

Faceva capolino, come se si fosse voluto far notare con il suo colore arancione, il volumetto del prof. Fabio Rossano, incaricato di virologia alla I Facoltà di Medicina di Napoli. L’esame da sostenere era tra quelli facoltativi nel programma del III anno di corso.

Era il 1981. Ne ho sfogliato le pagine accorgendomi che tra quelle risparmiate dalle sottolineature ed aggiunte di note a matita, vi era il brevissimo paragrafo dedicato ai Coronavirus. In realtà si trattava di una sola pagina che, dopo la descrizione della struttura del virus concludeva così:

“Questi virus causano affezioni respiratorie degli uccelli, l’epatite infettiva del topo e la gastroenterite trasmissibile ai suini; occasionalmente è presente nel muco delle prime vie aeree nell’uomo”.

Insomma, era questo un argomento che mai sarebbe stato chiesto all’esame!

Ancora una volta – come nel passato per batteri, funghi e virus innocui si è forse verificato, a dire di molti esperti, il cosiddetto “salto di specie” cioè la trasmissione di un patogeno presente in una “popolazione vivente-serbatoio” a una nuova “popolazione – ospite”. Non è questa una novità visto che oltre i 2/3 dei virus umani sono zoonotici. Dal 2005 al 2020 si sono originate tre epidemie ed una pandemia che hanno colpito il genere umano: nel 2003 la SARS; nel 2009 l’influenza suina causata dal virus H1 N1; nel 2012 la MERS e nel 2019 l’inizio della pandemia di Covid-19 provocata dal virus SARS – COV – 2.

In tutti i casi l’animale chiamato in causa come “untore” sarebbe il pipistrello. Questi chirotteri possiedono caratteristiche strabilianti. Per prima cosa, sono gli unici mammiferi volanti; possono vivere sino ai 40 anni contro gli appena 2-3 dei roditori di taglia simile. Ma ciò che intriga la ricerca in campo dell’immunologia è che queste creature sono “serbatoi” di virus grazie al modo di gestire il compartimento dell’immunità innata. Molte varietà di pipistrello possiedono una risposta molto amplificata ed efficiente contro molti virus.

Tale iperattività si esplica con produzione continua di IFN-γ di tipo I (Interferone gamma) inibitore delle replicazione virale sia nelle cellule già infettate che in quelle ancora indenni. A ciò si aggiungono le cellule Natural Killer (NK), sottopopolazione di linfociti midollari impegnate nella lisi di cellule infettate grazie alla “perforina” proteina capace di formare pori nelle cellule bersaglio oltre alla secrezione ulteriore di IFN-γ. Nei chirotteri i virus isolati “non uccidono” e l’animale ospite consente loro di sopravvivere e moltiplicarsi, come se l’esser infetto cronicamente tenendo a bada il patogeno “a filo di gas” fornisca al virus una sorta di vantaggio evolutivo. Prima del “salto di specie” è stato necessario quindi un periodo di mutualismo tra l’animale ospitante ed il simbionte (il virus). Si tratta quindi di un vero e proprio “mutualismo obbligato”.

Questa varietà di virus si è fatto conoscere da poco tempo dal Nostro sistema immunitario e proprio perché “nuovo”, è sottoposto ad una forte pressione selettiva che riguarda le proteine più esposte all’interesse dell’immunità specifica anticorporale rivolta contro la proteina “spike” sia a seguito di un’infezione naturale che in una simulazione come per i vaccini. Ciò che va più temuto è la possibilità di mutazioni (varianti) che riguarderanno la proteina S che daranno al virus maggior capacità di resistenza agli anticorpi. In questa imperscrutabile logica evolutiva, la maggiore letalità non è tra i “vantaggi” alla sopravvivenza virale, lo è la maggior trasmissibilità, magari in condizione di coabitazione coatta. Dimostrazioni di queste scelte in natura sono numerose: l’herpes varicella-zoster, dopo le manifestazioni cutanee giovanili, si rifugia nelle radici posteriori dei nervi spinali (così poco irrorate e per questo scarsamente raggiungibili dagli anticorpi) per farsi poi vivo quando il sistema immunitario cede per altri motivi. Non possiamo sapere come questa pandemia evolverà di fronte ad un virus che cerca di adeguarsi ad un ospite nuovo ed ostile di cui non  ha tracce nella propria “libreria immunitaria” contenuta nei linfociti B e T ma se le attività di contenimento non riuscirà nel loro intento, il COVID-19 sarà, purtroppo, endemico. Non dunque una immunità di gregge che impedisce del tutto le infezioni ma una sorta di convivenza con una nuova entità le cui manifestazioni cliniche verrebbero a quel punto, derubricate, alla voce “malanno di stagione”. 

                                                                               

Condividi: