Dubbi e certezze in Fisiopatologia dell’immersione

di Costantino Balestra – PH.D. of Physiology – Houte ecole Bruxelles. Membro del Comitato Scientifico SIMSI 2021/2022

Durante l’adolescenza, la certezza é la logica abituale, il dubbio é abbastanza scarso. Poi, l’età adulta leviga le certezze.

Potremmo considerare che in questi ultimi anni, la comprensione fisiopatologica dell’immersione ha finito l’adolescenza.

In medicina poche cose cambiano così lentamente come in anatomia.

Tuttavia, anche se le caratteristiche anatomiche del cuore non sono cambiate da anni, la comprensione delle conseguenze di alcuni tratti anatomici ha generato, in medicina subacquea, non poche discussioni. Basti considerare il caso del « Patent Foramen Ovale » (PFO) per illustrarlo.

Per anni, si è ritenuto che un Forame Ovale, chiuso o aperto (pervio) fosse una condizione permanente. Oggi sappiamo che non è così – anzi, dopo averlo sospettato da studi di dissezione anatomica “trasversale”, abbiamo dimostrato, su subacquei esaminati con la stessa identica tecnica, ma a distanza di 6-7 anni, che alcuni di quei PFO diventano più permeabili con il tempo, mentre altri possono ridursi o addirittura, in caso di piccola pervietà, chiudersi nel tempo! (Germonpre et al., 2005)

Il cosiddetto “solco semilunare”, che giace accanto alla Fossa Ovalis dove si trova il PFO, deve essere giustamente apprezzato come fonte di flusso sanguigno turbolento che può influire sul passaggio (o meno) del sangue attraverso il PFO.

Le “bolle” di contrasto venoso, iniettate in un grosso vaso sanguigno nel braccio, possono essere spazzate via dal setto interatriale da queste turbolenze e quindi impedite di diventare “emboli gassosi paradossali”. Ciò rende la rilevazione di un PFO mediante l’ecocardiografia di contrasto un compito impegnativo, poiché spesso causa un risultato “falso negativo” o per lo meno una valutazione inferiore della realtà. I cardiologi esperti sono consapevoli di questa possibilità e della necessità di eseguire le cosiddette “manovre di provocazione” respiratorie per diagnosticare in modo affidabile un PFO. Queste manovre, aumentando prima la pressione intratoracica e poi rilasciandola improvvisamente, provocano un’inversione delle pressioni tra atrio sinistro e destro (Balestra et al., 1998). A volte indicata come “manovra di Valsalva”, questa è una manovra completamente diversa da quella usata dai subacquei per schiarirsi le orecchie durante la discesa in acqua. Ha bisogno di un subacqueo cosciente e collaborativo, un po’ di pratica precedente e un tempismo perfetto per l’iniezione del liquido di contrasto, qualcosa che non tutti i sono in grado di padroneggiare!

La conoscenza e la comprensione di questi aspetti anatomici e funzionali della pervietà del Forame Ovale hanno lentamente portato a un approccio più liberale verso l’idoneità medica all’immersione per coloro che hanno un PFO, anche dopo un incidente di decompressione. I timori che un PFO possa essere responsabile di lesioni cerebrali “silenziose”, anche se il subacqueo non ha mai avuto la malattia da decompressione, sono in gran parte infondati. (Balestra & Germonpre, 2016).

Oggi, un lavoro prospettivo dimostra che l’incremento di rischio relativo di MDD per i portatori di PFO é abbastanza ridotto (Germonpre et al., 2021). 

Queste osservazioni portano alla conclusione che mentre l’anatomia del cuore rimane invariata, è la nostra comprensione delle sue proprietà biomeccaniche e del loro impatto variabile, che è cambiata.

Ancora di più la nostra comprensione della fisiopatologia della decompressione è cambiata nel corso degli ultimi dieci anni.

Non è più accettabile considerare una bolla solo un oggetto “occlusivo” nel vaso sanguigno, per spiegare i disturbi della decompressione.

Questo modello dovrebbe essere trattato come una prospettiva meccanicistica piuttosto primitiva a favore di modelli più intricati, cercando di spiegare tutti i fenomeni che possiamo osservare nella malattia da decompressione. Sicuramente la relazione tra saturazione dei tessuti con gas inerte e malattia da decompressione è più complicata delle sole relazioni fisiche. Anche I modelli decompressivi sono attualmente considerati in un modo molto più relativo di prima. 

La qual cosa, ci porta all’essenza stessa dei modelli nel processo scientifico, come affermato da Sir Ronald Aylmer Fisher (1890-1962): 

I modelli (non solo decompressivi) non forniscono risposte, semplicemente indirizzano le nostre domande“. 

Sarebbe anche vero dire: “I modelli servono a organizzare la nostra ignoranza”.

Il bello della riduzione delle certezze, é che in realtà da molto spazio alla ricerca e alla produzione di nuove teorie e interpretazioni.

C’é ancora lavoro. 

 

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