I subacquei del gruppo di discussione Facebook “It Hobby Scuba” hanno attivato una costruttiva discussione su quanto ho presentato al convegno della NADD a Colico (Lecco) il 19 novembre 2016. Ritengo utile rendere pubblici i punti salienti per stimolare lo scambio di opinioni in questo sito SIMSI. Alla fine di questo articolo trovate le slide presentate al convegno.
Innanzitutto un chiarimento sulla terminologia di “deep stop”. Io traduco in italiano “stop” con “tappa” se questa è prevista dal software, dal computer o dalla decompressione mnemonica (la tappa, così intesa, deve essere certamente effettuata). Traduco con “sosta” se essa fosse arbitrariamente aggiunta a quanto previsto dal metodo di calcolo della decompressione scelto (ritengo la sosta, così intesa, spesso inutile se non dannosa).
Angelo Ubiali ha riportato la sintesi di quanto è stato affermato nel convegno:
Qual è il parere attuale degli esperti (in particolare del DAN) sulle soste profonde?
Il dottore Peter Denoble (2010) in un articolo sulle “deep stop” pubblicato, nel 2010, sulla rivista del DAN “Alert Diver Network online” riporta il parere di diversi esperti i quali concordano sulla necessità di essere prudenti nell’inserire le soste profonde nella procedura di decompressione. La conclusione dell’articolo è “There is insufficient evidence to suggest a deep stop (inteso come “sosta profonda” secondo la mia traduzione) offers any advantage”.
Il dottore Simon Mitchell afferma che i subacquei non dovrebbero modificare arbitrariamente l’algoritmo di decompressione. Se le soste profonde (facoltative) fossero inserite alla profondità sbagliata e/o per un tempo errato, vi sarebbe un aumento significativo (e non la diminuzione) della probabilità di incidente da decompressione. Se il subacqueo ritenesse accattivante il concetto delle soste profonde, dovrebbe scegliere un algoritmo che preveda le tappe profonde (che sono obbligatorie) “
Il professore David Doolett segnala gli studi sperimentali della Diving Unit della US Navy su quasi 400 immersioni con respirazione in aria a 52 metri di profondità per un tempo di fondo di 30 minuti. A parità di tempo totale di decompressione, in metà delle immersioni sono state inserite soste profonde, nell’altra metà sono state evitate. Si sono verificati più casi di incidente da decompressione nelle decompressioni con soste profonde rispetto a quelle che non le prevedevano.
Già nel 2005, uno studio francese aveva evidenziato che “The addition of deep stops requires careful consideration. Two of our Experimental Ascent Profiles (aggiunta di soste profonde) made no difference and one produced increased bubbling”
La subacquea FGB, del gruppo It Hobby Scuba, chiede delle precisazioni su come settare computer quali il Suunto dove si può impostare la sosta profonda da 1 a 2 minuti. Ritiene che questo consenta di evitare l’innesco e la espansione delle bolle durante la risalita. Ciò appare utile, per lei, soprattutto per chi abbia già subito un incidente da decompressione neurologico apparentemente immeritato.
Certamente chi abbia subito un incidente da decompressione desidera evitare che esso si ripeti. Attualmente, la sicurezza in immersione sembra – però – dipendere principalmente dalla forma fisica (sia per le variabili non modificabili come l’età oltre i 50 anni e il profilo genetico che per quelle modificabili: BMI, circonferenza addome, pressione arteriosa, colesterolo, shunt destra sinistra, fumo) piuttosto che dal profilo di risalita.
Il SUUNTO (e tutti i computer sia con algoritmo RGBM sia compatimentale) sono già sufficientemente conservativi nella loro impostazione di base, pertanto le soste profonde potrebbero essere utili nelle immersioni con elevato stress decompressivo (vedi sopra per la definizione) altrimenti sembra preferibile semplificare la risalita il più possibile (cioè evitare le soste arbitrarie).
L’ampio uso del condizionale è giustificato dalla necessità di ulteriori studi scientifici a supporto delle osservazioni esposte.
Di seguito le slide che ho presentato durante il convegno